SUGLI EFFETTI DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI DI NOMINA AD UN IMPIEGO PUBBLICO, IN PARTICOLARE NELLA MAGISTRATURA AMMINISTRATIVA

TAR_LazioSUGLI EFFETTI DEI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI DI NOMINA AD UN IMPIEGO PUBBLICO, IN PARTICOLARE NELLA MAGISTRATURA AMMINISTRATIVA

 

(T.A.R. Lazio, Sez. II, 6 agosto 2015, n. 10710)

 

  1. La fattispecie del passaggio ad altra carriera nell’ambito di amministrazioni statali in senso stretto – per come richiesto dalla costante interpretazione giurisprudenziale – con inquadramento del dipendente in una nuova posizione, quale presupposto per l’applicazione del divieto di reformatio in pejus, si perfeziona al momento della nomina, in quanto avente effetto costitutivo della nuova posizione di status e della sua decorrenza giuridica; a tale momento deve, quindi, aversi riguardo per la definizione del regime giuridico ed economico applicabile, in quanto connessi all’acquisizione del nuovo status, assumendo la decorrenza economica dell’inquadramento valenza ai fini meramente corrispettivi riconducibili all’effettiva presa di servizio, quale momento genetico della controprestazione economica gravante sull’Amministrazione di nuova appartenenza.

 

  1. Deve farsi riferimento, nel definire l’an ed il quantum dell’ assegno ad personam da liquidare al dipendente, alla data di adozione del provvedimento di inquadramento nel nuovo ruolo, dismettendo in quel momento il dipendente il precedente status per acquisire un nuovo status giuridico (in tal senso Consiglio Stato , sez. IV, 19 agosto 1997 , n. 861; TAR Basilicata, 16 aprile 2010 n. 203); pertanto, nella ricognizione dell’ambito di applicabilità della disciplina dettata dall’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957 – a seguito della sua abrogazione per effetto dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013 – deve aversi riguardo, ai fini dell’individuazione del regime giuridico applicabile al dipendente, alla data della nomina all’impiego e, quindi, alla decorrenza giuridica della stessa, idonea a costituire un nuovo status disciplinato dalla normativa in vigore a tale momento.

  1. Nel periodo temporale intercorrente tra la data di nomina quale magistrato amministrativo e quella di effettiva presa di servizio, al dipendente dei ruoli della Banca d’Italia è già applicabile la disciplina giuridica dettata per il nuovo impiego, mentre il medesimo non può beneficiare di eventuali modifiche normative favorevoli inerenti il precedente status.

  1. La mancata presa di servizio, successivamente al provvedimento amministrativo di nomina del dipendente, non determina la mancata costituzione del rapporto – che avviene con l’atto di nomina – ma unicamente la decadenza dal rapporto, che deve quindi considerarsi come già sorto e che determina tutti gli effetti giuridici della nomina ma non quelli economici.

 

NOTA

[ Fattispecie relativa al passaggio, a seguito di concorso pubblico, dai ruoli degli avvocati della Banca d’Italia al ruolo dei magistrati amministrativi, cui si applica l’istituto del divieto di reformatio in pejus, che si applicava ai casi di passaggio tra amministrazioni dello Stato, ricomprendenti sia le amministrazioni riconducibili allo Stato persona, sia quelle riconducibili allo Stato ordinamento.

Avendo il ricorrente acquisito la qualifica di referendario di T.A.R. in data 31 dicembre 2013, perfezionandosi così il passaggio dai ruoli della Banca d’Italia al ruolo dei magistrati amministrativi, si è ritenuta applicabile la norma di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957 (abrogata per effetto dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013), in quanto all’epoca vigente, sfuggendo la fattispecie in esame all’ambito applicativo dell’abrogazione dell’istituto del divieto di reformatio in pejus, entrato vigore dalla successiva data dell’1 gennaio 2014.

Il T.A.R. ha anche sottolineato che, a decorrere dalla nomina nel nuovo impiego si cristallizza la disciplina giuridica applicabile in virtù del nuovo impiego, pertanto il dipendente non può più beneficiare – nell’inquadramento nella nuova amministrazione pubblica – di eventuali modifiche normative favorevoli inerenti il precedente status ricoperto nell’amministrazione pubblica di provenienza. ]

 

 

N. 10710/2015 REG.PROV.COLL.

N. 06788/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6788 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

D. F., rappresentato e difeso dall’Avv. A. B., con domicilio eletto presso P. B. in Roma, Via P.G. D. P., 19;

contro

SEGRETARIATO GENERALE DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, CONSIGLIO DI PRESIDENZA DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

– della nota del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa prot. n. 0005778 del 14 marzo 2014;

– della nota degli Uffici Centrali della Giustizia Amministrativa prot. n. 1567/2014 del 7 marzo 2014;

– del D.P.C.M. di attribuzione del trattamento economico, se e in quanto adottato;

– di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale;

e per ottenere

– l’accertamento del diritto del ricorrente alla corresponsione di un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza tra lo stipendio gia’ goduto ed il nuovo, ai sensi dell’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957;

 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2015 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Espone in fatto l’odierno ricorrente di essere risultato vincitore del concorso per titoli ed esami per referendario di Tribunale Amministrativo Regionale indetto con D.P.C.M. del 16 febbraio 2010 e di essere stato nominato referendario con D.P.R. del 31 dicembre 2013, con decorrenza giuridica al 31 dicembre 2013 e con decorrenza economica alla data di effettiva assunzione in servizio.

Con D.P.C.M. del 3 gennaio 2014 al ricorrente è stata assegnata la sede di Campobasso con presa di servizio dal 15 gennaio 2014.

Essendo la retribuzione precedentemente percepita dal ricorrente in qualità di avvocato del ruolo legale della Banca d’Italia superiore a quella spettante come referendario di TAR, con istanza del 3 marzo 2014 questi ha chiesto al competente ufficio del Segretariato della Giustizia Amministrativa il riconoscimento dell’assegno ad personam di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957.

Tale richiesta è stata negativamente riscontrata da parte dell’Ufficio Bilancio e Contabilità della Giustizia Amministrativa con nota del 7 marzo 2014, trasmessa dal Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa con nota del 14 marzo 2014, nel ritenuto presupposto della applicabilità al ricorrente della disciplina dettata dall’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013, che ha abrogato l’invocato art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957, e ciò in quanto il trattamento economico quale referendario decorre dalla data di presa di servizio, ovvero dal 15 gennaio 2015.

Avverso tale determinazione deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

I – Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 202 del D.P.R. n. 3 del 1957. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013. Violazione del principio di buon andamento della P.A.. Eccesso di potere. Disparità di trattamento.

Denuncia parte ricorrente l’illegittimità della ritenuta applicabilità nei propri confronti dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013, che abroga l’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957 – quest’ultimo posto a base della propria istanza di riconoscimento di un assegno ad personam al fine di mantenere integro il trattamento economico maturato nell’amministrazione provenienza – in quanto basata sulla decorrenza del trattamento economico da referendario, fissata dal 15 gennaio 2015, e pertanto in contrasto con le norme e i principi generali che governano il rapporto di pubblico impiego, sulla cui base il rapporto di lavoro ed il relativo status devono intendersi perfezionati con l’atto di nomina, che cristallizza il complesso di condizioni giuridiche ed economiche che regolano il rapporto.

Al riguardo, sostiene parte ricorrente come la decorrenza economica del rapporto di lavoro concerne unicamente il riconoscimento delle prestazioni sinallagmatiche dello stesso, e pertanto non potrebbe incidere sulla definizione del regime del trattamento economico che costituisce parte integrate dello status giuridico economico del lavoratore, che si perfeziona con l’atto di nomina, non potendo il differimento della presa di servizio rispetto alla nomina incidere sullo status, altrimenti vanificandosi l’esigenza di certezza della determinazione della retribuzione.

Deve, quindi, farsi riferimento, secondo parte ricorrente, alla disciplina vigente alla data della nomina per stabilire la spettanza o meno dell’assegno ad personam, con conseguente affermata erroneità delle gravate determinazioni che hanno invece individuato il regime applicabile al ricorrente con riferimento alla data di presa di effettivo servizio, trattandosi di impostazione in contrasto con la stessa ratio sottesa all’istituto del divieto di reformatio in pejus, dovendo ritenersi irrilevanti, ai fini della sua applicazione, la data di presa di servizio e la decorrenza economica della nomina, altrimenti attribuendosi valenza retroattiva alla norma abrogatrice che diverrebbe applicabile anche a procedure concorsuali perfezionatosi in data anteriore a quella di sua entrata in vigore.

La diversa interpretazione seguita dalle intimate Amministrazioni, secondo parte ricorrente, recherebbe in sé profili di dubbia legittimità costituzionale in quanto discriminatoria nei confronti dei soggetti che hanno partecipato alla procedura concorsuale conclusasi sotto la vigenza della normativa anteriore all’intervento abrogativo.

Si sono costituite in resistenza le intimate Amministrazioni sostenendo l’infondatezza del ricorso in considerazione del fatto che il ricorrente risulta essere stato alle dipendenze dell’Amministrazione di appartenenza sino al 15 gennaio 2014 e sulla base della ricognizione della portata applicativa dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013, chiedendo quindi il rigetto del ricorso.

Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie richieste.

Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2015 la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti presenti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO

Con il ricorso in esame è veicolata sia azione impugnatoria avverso i provvedimenti – meglio indicati in epigrafe nei loro estremi – con i quali è stata rigettata l’istanza del ricorrente volta ad ottenere la corresponsione di un assegno ad personam, utile a pensione, pari alla differenza tra lo stipendio gia’ goduto ed il nuovo stipendio spettante quale referendario di TAR, ai sensi dell’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957, sia azione di accertamento in ordine alla spettanza di tale assegno finalizzato a mantenere integro il trattamento economico goduto presso l’Amministrazione di appartenenza in occasione dell’assunzione ad altro impiego pubblico.

Presupposto fattuale della controversia in esame è la nomina del ricorrente, con D.P.R. del 31 dicembre 2013, quale referendario di Tribunale Amministrativo in esito all’espletamento del concorso indetto con D.P.C.M. del 16 febbraio 2010, con decorrenza giuridica al 31 dicembre 2013 e con decorrenza economica alla data di effettiva assunzione in servizio, fissata, con D.P.C.M. del 3 gennaio 2014, alla data del 15 gennaio 2014.

Essendo la retribuzione precedentemente percepita dal ricorrente, in qualità di avvocato del ruolo legale della Banca d’Italia, superiore a quella spettante come referendario di TAR, con istanza del 3 marzo 2014 questi ha chiesto al competente ufficio del Segretariato della Giustizia Amministrativa il riconoscimento dell’assegno ad personam di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957, il quale dispone che “Nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche se semplicemente economica”.

Tale articolo è stato abrogato dal comma 458 dell’art. 1 della legge di stabilità 27 dicembre 2013 n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014, e, in ragione di tale abrogazione e della relativa decorrenza, è stato negato, mediante adozione dei gravati atti, il diritto del ricorrente a percepire l’assegno ad personam nel ritenuto presupposto dell’applicabilità alla fattispecie in esame della norma abrogativa in ragione della decorrenza economica della nomina del ricorrente, coincidente con la data di effettiva presa di servizio, indicata nel 15 gennaio 2014.

Affida parte ricorrente la proposta azione all’assunto che il regime giuridico ed economico spettante al dipendente pubblico debba essere individuato facendo riferimento alla data della nomina, e quindi alla decorrenza giuridica del nuovo status – nella fattispecie in esame individuata al 31 dicembre 2013 – e non già alla data della decorrenza economica del relativo trattamento retributivo, che attiene al sinallagma delle reciproche prestazioni.

Così brevemente dato atto dell’oggetto della controversia in esame, ritiene il Collegio di dover risolvere la questione centrale del giudizio – inerente la ricognizione dell’ambito di applicabilità della disciplina dettata dall’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957 a seguito della sua abrogazione per effetto dell’art. 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013 – a favore della tesi di parte ricorrente, dovendo aversi riguardo, ai fini dell’individuazione del regime giuridico applicabile al dipendente, alla data della nomina all’impiego e, quindi, alla decorrenza giuridica della stessa, idonea a costituire un nuovo status disciplinato dalla normativa in vigore a tale momento.

Difatti, è l’atto di nomina all’impiego, con conseguente inquadramento in ruolo, che vale a costituire, con la medesima decorrenza giuridica, un nuovo status del dipendente ed il nuovo rapporto di lavoro, cristallizzando a tale data il complesso delle condizioni che lo disciplinano sotto il profilo giuridico ed economico, come dettate dalla normativa vigente all’atto di nomina.

A tale momento deve, quindi, aversi riguardo per la definizione del regime giuridico ed economico applicabile, in quanto connessi all’acquisizione del nuovo status, assumendo la decorrenza economica dell’inquadramento valenza ai fini meramente corrispettivi riconducibili all’effettiva presa di servizio, quale momento genetico della controprestazione economica gravante sull’Amministrazione di nuova appartenenza.

La presa di servizio, e quindi la decorrenza economica della nomina, determina infatti unicamente il diritto alla percezione della retribuzione quale elemento corrispettivo del rapporto sinallagmatico che si instaura, in concreto, solo al momento in cui inizia la prestazione lavorativa.

Ne è conferma la circostanza che la mancata presa di servizio successivamente alla nomina del dipendente non determina la mancata costituzione del rapporto – che avviene con l’atto di nomina – ma unicamente la decadenza dal rapporto, che deve quindi considerarsi come già sorto e che determina tutti gli effetti giuridici della nomina ma non quelli economici.

Peraltro è all’atto di nomina e al conseguente inquadramento nel ruolo della magistratura amministrativa che deve aversi riguardo ai fini della progressione in carriera ed alla definizione del trattamento economico e giuridico, irrilevante essendo la data di effettiva presa di servizio, dovendo ricondursi al momento della nomina lo stabile inserimento in una carriera dello Stato con il conseguente consolidamento dello status, giuridico ed economico, dallo stesso derivante.

La stessa giurisprudenza ha peraltro riconosciuto che debba farsi riferimento, nel definire l’an ed il quantum dell’ assegno ad personam da liquidare al dipendente, alla data di adozione del provvedimento di inquadramento nel nuovo ruolo, dismettendo in quel momento il dipendente il precedente status per acquisire un nuovo status giuridico (in tal senso Consiglio Stato , sez. IV, 19 agosto 1997 , n. 861; TAR Basilicata, 16 aprile 2010 n. 203).

Avendo il ricorrente acquisito la qualifica di referendario in data 31 dicembre 2013, perfezionandosi così il passaggio dai ruoli della Banca d’Italia al ruolo dei magistrati amministrativi, deve conseguentemente ritenersi l’applicabilità della norma di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957, in quanto all’epoca vigente, sfuggendo la fattispecie in esame all’ambito applicativo dell’abrogazione dell’istituto del divieto di reformatio in pejus, entrato vigore dalla successiva data dell’1 gennaio 2014.

Né a diversamente ritenere può condurre la circostanza – valorizzata dalla difesa erariale – che il ricorrente abbia continuato a prestare servizio presso l’Amministrazione di provenienza sino al 14 gennaio 2014, tenuto conto – oltre a quanto in precedenza illustrato – che nel periodo temporale intercorrente tra la data di nomina quale referendario e quella di effettiva presa di servizio al ricorrente era già applicabile la disciplina giuridica dettata per il nuovo impiego, mentre lo stesso non avrebbe potuto beneficiare di eventuali modifiche normative favorevoli inerenti il precedente status.

Aggiungasi che la procedura concorsuale cui ha partecipato il ricorrente, conclusasi con l’atto di nomina, si è perfezionata in data anteriore a quella di entrata in vigore della norma abrogatrice, sfuggendo quindi al relativo campo di applicazione.

Deve, conclusivamente, ritenersi che la fattispecie del passaggio ad altra carriera nell’ambito di amministrazioni statali in senso stretto – per come richiesto dalla costante interpretazione giurisprudenziale – con inquadramento del dipendente in una nuova posizione, quale presupposto per l’applicazione del divieto di reformatio in pajus, si sia perfezionato al momento della nomina del ricorrente, in quanto avente effetto costitutivo della nuova posizione di status e della sua decorrenza giuridica, da cui discende, in accoglimento del ricorso, l’annullamento delle gravate determinazioni ed il riconoscimento del diritto del ricorrente ad ottenere la corresponsione dell’assegno ad personam di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957.

Le spese di giudizio, in ragione della peculiarità della vicenda contenziosa e della novità della questione giuridica possono essere equamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Roma – Sezione Seconda

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 6788/2014 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla le gravate determinazioni, con dichiarazione del diritto del ricorrente ad ottenere la corresponsione dell’assegno ad personam di cui all’art. 202 del D.P.R. n. 3 del 1957.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filoreto D’Agostino,  Presidente

Elena Stanizzi,            Consigliere, Estensore

Silvia Martino,            Consigliere

 

L’ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/08/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)