ANCORA SULL’ABUSO DEL LAVORATORE NELLA FRUIZIONE DEI PERMESSI RETRIBUITI E SUL “MINIMO ETICO”

ANCORA SULL’ABUSO DEL LAVORATORE NELLA FRUIZIONE DEI PERMESSI RETRIBUITI E SUL “MINIMO ETICO”

 

(Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 30 aprile 2015, n. 8784)

 

  1. È legittimo il licenziamento del lavoratore per abuso nella fruizione dei permessi retribuiti ex art. 33, comma 3, della legge n.104 del 1992, anche nel caso di utilizzazione del permesso retribuito solo in parte per finalità diverse da quelle per il quale il legislatore ha previsto il diritto al permesso retribuito (fattispecie nel quale il lavoratore ha utilizzato parte delle ore di permesso per partecipare ad una serata danzante, con utilizzo delle residue ore di permesso per assistere la madre disabile grave).

  1. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, l’affermazione secondo la quale in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto “minimo etico” ( Cass. 3 ottobre 2013 n. 22626 , V. anche Cass. 18 settembre 2’009 n. 20270 secondo cui in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro).

[ In tema anche:

– Cass. civ., sez. lav., 7 giugno 2003 n. 9167;

– Cass. civ., Sez. Lavoro, 26 novembre 2014, n. 25162;

– Cass. civ., Sez. Lavoro, 04 marzo 2014, n. 4984, fattispecie nella quale la contestazione disciplinare verteva sull’illecito utilizzo di un permesso L. n. 104 del 1992, ex art. 33, per fini del tutto estranei a quelli previsti dalla legge, tenuto conto della gravità del contegno del lavoratore, alla luce della qualifica direttiva posseduta, senza contestazione dei fatti accertati,essendone stata negata solo la rilevanza disciplinare nonchè la liceità delle metodologie di accertamento:

  1. A) il datore di lavoro si è avvalso di un INVESTIGATORE PRIVATO; precisa la Cass. che, secondo quanto ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla portata delle disposizioni (L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3), che delimitano – a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali – la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi – e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3) -, ma non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, nè, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica. Ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, nè l’adempimento, nè l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. 7 giugno 2003, n. 9167). Tale principio è stato ribadito ulteriormente, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590). Nè a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 10 luglio 2009 n. 16196).

Nel caso considerato il controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi L. n. 104 del 1992, ex art. 33, (suscettibile di rilevanza anche penale) non ha riguardato l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo stato effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa;

  1. B) al lavoratore è stato comminato il LICENZIAMENTO, in relazione alla sua condotta caratterizzata, non solo e non tanto dall’allontanamento temporaneo dall’abitazione della madre da assistere, quanto dal fatto che nel giorno del permesso ex art. 33 chiesto per la giornata di venerdì 11 aprile, alle 7,55 sia partito con amici e valigia al seguito, così mettendo fra sè e la finalità di assistenza del permesso una distanza e una previsione di rientro non prossimo che rendono del tutto evidente che il permesso è stato utilizzato per altra finalità, che la legge garantisce con l’apposito istituti delle ferie. In tale modo il lavoratore – come condivisibilmente osservato dal giudice del merito – ha violato, attraverso l’abuso del relativo diritto, la finalità assistenziale allo stesso connessa e la condotta posta in essere è stata, pertanto, coerentemente ritenuta capace di integrare anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del recesso, sia perchè le eventuali convinzioni personali del ricorrente di potere fare affidamento in una prassi consolidata o nella collaborazione di una badante sono del tutto irrilevanti in presenza di comportamento che ha compromesso irrimediabilmente il vincolo fiduciario, sia perchè la sospensione dell’attività lavorativa era consentita solo per la finalità assistenziale garantita dal permesso.]

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Sui permessi della legge n. 104/1992: http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=10268