SULL’INSUFFICIENZA DEL TEMPO, E DI ALTRE SPECIFICHE CIRCOSTANZE, A CONFIGURARE UN TACITO MUTUO CONSENSO INTESO A RISOLVERE O COMUNQUE A NON PROSEGUIRE IL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO NEL CASO DI ILLEGITTIMITÀ DEL TERMINE APPOSTO

headerSULL’INSUFFICIENZA DEL TEMPO, E DI ALTRE SPECIFICHE CIRCOSTANZE, A CONFIGURARE UN TACITO MUTUO CONSENSO INTESO A RISOLVERE O COMUNQUE A NON PROSEGUIRE IL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO NEL CASO DI ILLEGITTIMITÀ DEL TERMINE APPOSTO.

 

(Cass. civ., Sez. Lavoro, 11/09/2015, n. 17980)

 

  1. Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinchè possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo dovendosi, peraltro, considerare che l’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con norme imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2 (di natura imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione “ex lege” del rapporto a tempo determinato cui era stato apposto illegittimamente il termine); grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro, mentre la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto, anche se protratta per due o tre anni o anche più, non è sufficiente, in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per tacito mutuo consenso (Cass. 15.11.2010 n. 23057; conf. 1.2.2010 n. 2279; Cass. n. 9583/2011; Cass. 10.11.2008 n. 26935; Cass. 28.9.2007 n. 20390; Cass. 17.12.2004 n. 23554; Cass. 2.12.2002 n. 17070; Cass. 11.12.2001 n. 15621).

 

  1. L’azione diretta a far valere la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l’assunzione a tempo determinato, si configura come azione di nullità parziale del contratto per contrasto con nome imperative ex art. 1418 c.c. e art. 1419 c.c., comma 2. Essa, pertanto, ai sensi dell’art. 1422 c.c., è imprescrittibile, pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ex lege per illegittimità del termine apposto. Ne consegue che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione di siffatta azione giudiziale non può, di per sè solo, costituire elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà delle parti di risolvere il rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione ovvero, in un ottica che svaluti il ruolo e la rilevanza della volontà delle parti intesa in senso psicologico, elemento obiettivo, socialmente e giuridicamente valutabile come risoluzione per tacito mutuo consenso (v. Cass., 15/12/97 n. 12665; Cass., 25/3/93 n. 824). Comunque, consentendo l’ordinamento di esercitare il diritto entro limiti di tempo predeterminati, o l’azione di nullità senza limiti, il tempo stesso non può contestualmente e contraddittoriamente produrre, da solo e di per sè, anche un effetto di contenuto opposto, cioè l’estinzione del diritto ovvero una presunzione in tal senso, atteso che una siffatta conclusione sostanzialmente finirebbe per vanificare il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e/o la disciplina della prescrizione, la cui maturazione verrebbe contra legem anticipata secondo contingenti e discrezionali apprezzamenti. Per tali ragioni appare necessario, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, manifestatasi in pendenza del termine per l’esercizio del diritto o dell’azione, che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare “una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. anche Cass., 2/12/2000 n. 15403; Cass., 20/4/98 n. 4003). E’, inoltre, onere del datore di lavoro (ovvero della parte che eccepisce un tacito mutuo consenso) allegare prima e provare poi siffatte circostanze (v. Cass. sez. lav. n. 2279 dell’1/2/2010, n. 16303 del 12/7/2010, n. 15624 del 6/7/2007; v., altresì, Cass. n. 23499/2010).

 

  1. Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione giudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo: non sono indicative di un intento risolutorio nè l’accettazione del TFR, nè la mancata offerta della prestazione, trattandosi di “comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine” (cfr., Cass., n. 15628/2001). Lo stesso dicasi della condotta di “chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni” (cfr. Cass. n. 839/2010, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione): anche tale contegno è inidoneo a far supporre un mutuo consenso allo scioglimento del rapporto lavorativo.