SULL’USO IMPROPRIO DI STRUMENTI AZIENDALI

headerUSO IMPROPRIO DI STRUMENTI AZIENDALI – INADEMPIMENTO O RITARDO NEL PAGAMENTO DELL’INDENIITÀ RISARICITORIA DEL LICENZIAMENTO (L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92) – LICENZIAMENTO INGIURIOSO.

(Cass. civ., Sez. Lavoro, 2 novembre 2015, n. 22353)

1. È illegittimo il licenziamento del lavoratore per giusta causa, per avere utilizzato per fini personali la posta elettronica e la navigazione in internet, in entrambi i casi ritenuta di difficile quantificazione temporale, nonché per la presenza di file di natura multimediale non legati all’attività lavorativa e l’istallazione di alcuni programmi coperti da copyright, di cui non era stata accertata, però, l’utilizzazione oltre il periodo concesso come dimostrativo, comportamenti dei quali va esclusa la particolare gravità ai fini della sussistenza della giusta causa.
2. In caso di licenziamento illegittimo, ove il lavoratore, nel regime della cosiddetta tutela reale (nella specie, quello, applicabile “ratione temporis”, previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92), opti per l’indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 18, comma 5, cit., il rapporto di lavoro, con la comunicazione al datore di lavoro di tale scelta, si estingue senza che debba intervenire il pagamento dell’indennità stessa e senza che permanga – per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore nè può essere pretesa dal datore di lavoro – alcun obbligo retributivo. Ne consegue che l’obbligo avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità è soggetto alla disciplina della “mora debendi” in caso di inadempimento, o ritardo nell’adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell’art. 429 c.p.c., comma 3, salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore (Cass., S.U. civili, sentenze n. 18353 e n. 18354 del 27/08/2014).
3. Il carattere ingiurioso del licenziamento, che, in quanto lesivo della dignità e dell’onore del lavoratore, da luogo al risarcimento del danno ulteriore rispetto alle conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, non si identifica con la mancanza di giustificatezza dello stesso, bensì con le particolari forme o modalità offensive del recesso del datore di lavoro, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio (Cass. n. 6845 del 22/03/2010).

[ << 1. Con il primo motivo di ricorso, Valagro s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 12, vizio di motivazione ed errore di sussunzione laddove la Corte d’appello ha ritenuto che la condotta contestata rientrasse nella previsione dell’art. 53, del contratto collettivo, omettendo di valutare documenti che manifestavano lo scostamento tra la fattispecie concreta e la previsione contrattuale. In particolare, la Corte avrebbe ignorato la lettera di contestazione di addebito, che richiamava altresì l’elusione delle informative e dei molteplici preavvisi effettuati dall’azienda datrice di lavoro, quali in particolare la circolare del 13 luglio 2004; le e-mail del 1/4/2005 e del 7/4/2005, laddove si richiamavano i dipendenti ad un uso più attento della strumentazione aziendale. La condotta avrebbe quindi integrato anche la violazione del dovere di obbedienza previsto dall’art. 2104 c.c.. Inoltre, l’installazione sul p.c. di programmi coperti da copyright e di software non fornito dall’azienda non comportava solo un utilizzo improprio dello strumento aziendale, ma un utilizzo illegittimo, perchè attuato in violazione dell’art. 64 della L. n. 633 del 1941, con il rischio di responsabilità quantomeno civile del datore di lavoro. Inoltre, la reiterazione della condotta avrebbe reso l’ipotesi contestata quantomeno aggravata rispetto all’infrazione disciplinare descritta dal contratto collettivo.
1.1. Il motivo non è fondato.
Come già rilevato in relazione a fattispecie analoga da questa Corte nella sentenza n. 6222 del 18/3/2014, le allegazioni della società ricorrente non valgono a dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, l’addebito mosso al dipendente riguardi infrazioni disciplinari diverse e più gravi rispetto alla fattispecie, contemplata dal contratto collettivo (richiamato nella lettera di contestazione), di uso improprio di strumenti aziendali.
Il riferimento a precedenti informazioni e preavvisi (cioè a disposizioni del datore di lavoro in ordine all’uso del computer aziendale) non prospetta invero una violazione di distinti obblighi contrattuali, rilevando solo ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento. La lettera di contestazione poi non indica, quanto alla presenza di programmi coperti da copyright, la violazione di limiti posti all’utilizzazione degli stessi, con conseguenti profili di responsabilità per l’azienda. Inoltre, il fatto che la condotta sia stata reiterata non esorbita dalla previsione dell'”utilizzo improprio”, locuzione che può intendersi anche come riferita ad un impiego protratto nel tempo.
2. Come secondo motivo di ricorso, la s.p.a. Valagro deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c., l’omessa e/o insufficiente motivazione su più fatti decisivi, nonchè l’errore di sussunzione che avrebbe commesso la Corte, laddove ha giudicato che l’inadempimento non rientrasse nella nozione di giusta causa, con il conseguente difetto di proporzionalità dell’intimato licenziamento rispetto alle accertate infrazioni. In particolare, avrebbe omesso di esaminare le risultanze della c.t.u., che aveva evidenziato un uso reiterato e frequente della posta elettronica a fini personali ed inoltre l’istallazione di un’enorme quantità di programmi e files, alcuni dei quali infetti da virus che potevano aver messo a rischio i dati aziendali del personal computer e della rete.
2.1. In merito all’idoneità dell’inadempimento a costituire giusta causa di risoluzione del rapporto, occorre qui ribadire che la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge. L’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale ( Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del 2011).
2.2. Poste tali premesse, occorre concludere che anche tale motivo non è fondato.
La Corte ha infatti compiutamente esaminato le risultanze della c.t.u., argomentando che l’ausiliare aveva rilevato l’utilizzo personale della posta elettronica e della navigazione in Internet, in entrambi i casi ritenendole tuttavia di difficile quantificazione temporale, la presenza di file di natura multimediale non legati all’attività lavorativa e l’istallazione di alcuni programmi coperti da copyright, di cui non era stata accertata, però, l’utilizzazione oltre il periodo concesso come dimostrativo; ha quindi escluso la particolare gravità del comportamento addebitato sotto il profilo della sussistenza della giusta causa. La ricorrente si limita quindi a proporre la propria lettura degli atti e dei documenti che sono già stati esaminati dalla Corte d’appello: in tal modo, si chiede a questa Corte di riesaminare tutte le risultanze richiamate, cercando in esse i contenuti che potrebbero essere rilevanti nel senso patrocinato. Quella che si sollecita in sostanza è una nuova completa valutazione delle risultanze di causa, inammissibile in questa sede, considerato che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi (così tra le tante Cass. n. 22065 del 2014, Cass. n. 27197 del 2011).
2.2. Nè risulta dedotto, sotto il profilo del vizio di violazione della clausola generale, quali parametri astratti di interpretazione e valutazione del comportamento sarebbero stati disattesi o violati dal giudice di merito.
3. A fondamento del ricorso incidentale, P.G.H.H. deduce come primo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c., e il vizio di motivazione nei quali sarebbe incorsa la Corte d’appello ammettendo la controparte a provare l’aliunde perceptum, senza che fosse stato formulato alcun motivo di gravame avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato la relativa eccezione perchè non provata.
3.1. Il motivo è inammissibile.
La censura ex art. 112, riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 04/07/2014, n. 6361 del 19/03/2007).
3.2. Nel caso, il contenuto dell’atto di appello viene sintetizzato alle pg. 28 e 29 del ricorso incidentale, ma non riprodotto; la puntuale riproduzione sarebbe stata invece necessaria, al fine di confutare l’affermazione contenuta a p. 3 della sentenza, che riferisce, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente incidentale, che la società appellante aveva fatto oggetto di specifica censura il capo della sentenza relativo al difetto di prova dell’aliunde perceptum, lamentando il mancato accoglimento dell’istanza di esibizione della documentazione utile per accertare i redditi percepiti dalla data del licenziamento, formulata all’esito della mancata risposta all’interrogatorio formale del lavoratore.>>]