DEMANSIONAMENTO E DEQUALIFICAZIONE

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(Cass. civ., Sez. Lavoro, 17/09/2015, n. 18223)

1. Nel rapporto di lavoro non vi è solo un divieto di demansionamento del lavoratore, ossia divieto di attribuzione di mansioni inferiori alle pregresse, ma prima ancora un divieto di dequalificazione, ossia di attribuzione di mansioni inferiori alla qualifica: l’art. 2103 c.c. infatti prevede non solo il diritto a svolgere mansioni non inferiori alle ultime svolte, ma prima ancora il diritto del lavoratore di vedersi assegnate le mansioni per le quali è stato assunto (ossia proprie della qualifica pattuita).

2. Ai fini della verifica del legittimo esercizio dello “ius variandi” da parte del datore di lavoro, deve essere valutata, dal giudice di merito – con giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato – la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente (Cass. civ., Sez. Lavoro, 14/06/2013, n. 15010). Ciò non vuoi dire, naturalmente, che il giudice debba operare solo un confronto tra le mansioni attualmente assegnate e quelle precedentemente affidate, occorrendo preliminarmente un confronto tra le mansioni effettuate e la qualifica posseduta, perchè è con riferimento a questa che va verificato se vi sia dequalificazione e, solo in caso di corrispondenza delle mansioni con la qualifica, può procedersi alla verifica -necessariamente successiva- di corrispondenza tra le mansioni pregresse e le successive, al fine di escludere anche un demansionamento.

3. Allorquando da parte di un lavoratore sia allegata una dequalificazione o venga dedotto un demansionamento riconducibili ad un inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2103 cod. civ. è su quest’ultimo che incombe l’onere di provare l’esatto adempimento del suo obbligo, o attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che l’una o l’altro siano stati giustificati dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari o, comunque, in base al principio generale risultante dall’art. 1218 cod. civ., da un’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (Cass. civ., Sez. Lavoro, 06/03/2006, n. 4766).