SU ALCUNE CAUSE DI INCOMPATIBILITÀ QUALE COMPONENTE DI COMMISSIONE DI CONCORSO

TAR_LazioSU ALCUNE CAUSE DI INCOMPATIBILITÀ QUALE COMPONENTE DI COMMISSIONE DI CONCORSO

(T.A.R. Lazio, Sez. III, 23/09/2015, n. 11359)

1. Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa “le cause d’incompatibilità sancite dall’art. 51, c.p.c., estensibili, in omaggio al principio costituzionale di imparzialità, a tutti i campi dell’azione amministrativa (…) rivestono carattere tassativo e, come tali, sfuggono ad ogni tentativo di estensione analogica, stante l’esigenza di assicurare la certezza dell’azione amministrativa” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 2014, n. 3856; idem, 30 luglio 2013, n. 4015).

2. In relazione a quanto stabilito dall’art. 51, la giurisprudenza ha identificato – al fine di prevenire la illegittimità degli atti – alcune regole di condotta in capo all’amministrazione in specifici settori e, in particolare, in quello dei concorsi pubblici.
In particolare, si è affermato che:
– “la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità normativamente cristallizzate, salva la spontanea astensione di cui al capoverso dell’art. 51 c.p.c.”;
– “la conoscenza personale e/o l’instaurazione di rapporti lavorativi ed accademici non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali non siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali”;
– “perché i rapporti personali assumano rilievo deve trattarsi di rapporti diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro ed allievo o tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio”, essendo “rilevante e decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni docente/allievo, si sia concretato in un autentico sodalizio professionale connotato dai caratteri della stabilità e della reciprocità d’interessi di carattere economico” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4015 del 2013).

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[ Secondo una tesi diversa, ai fini della sussistenza o meno dell’incompatibilità a far parte delle commissioni di concorso, i “componenti dell’organo di direzione politica dell’amministrazione” (art. 35, comma 3, lettera e), d.lgs. n. 165/2001) sarebbero coloro che esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo” (art. 4, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 165/2001), e i componenti del Consiglio dell’Ordine potrebbe rientrare tra gli organi di indirizzo amministrativo. In tema, T.A.R. Lazio, Sez. III, 28/09/2015, n. 11430: <<la Sezione ha già affrontato la questione nella già ricordata sentenza n. 8375\2015, concludendo che “il richiamo agli organi di indirizzo politico (come, peraltro, si desume dal recente parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, n. 3105/2014 con riferimento al CNEL) debba essere interpretato prendendo come riferimento gli artt. 4 e 14 del D.lgs n. 165 del 2001 nella parte in cui si fa riferimento, sebbene con riguardo alle “amministrazioni pubbliche”, all’organo che definisce obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizza e definisce le linee di azione dell’ente. Risulta poi chiaro che l’individuazione di tali organi dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento”>> ]

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N. 11359/2015 REG.PROV.COLL.

N. 08982/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8982 del 2012, proposto da:
M. G. P., rappresentata e difesa dall’avv. F. P., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M. S. in Roma, Via XX Settembre, 3;

contro

il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dall’avv. F. F., con domicilio eletto in Roma, piazza Paganica, 13;
nei confronti di
F. G.;

per l’annullamento

della delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma adottata nell’adunanza del 5.4.2012 con la quale è stato disposto l’annullamento in autotutela del provvedimento di nomina della commissione di concorso pubblico per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di 12 unita’ per l’area ‘B’ – posizione giuridica B1 – atto di costituzione ex art. 10 dpr n. 1199/71 a seguito di ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 luglio 2015 il dott. Vincenzo Blanda e uditi l’avv. M., per delega dell’avv. P., per la ricorrente e l’avv. F. per il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (proposto nel mese di settembre 2012), poi trasposto in sede giurisdizionale in seguito all’opposizione del Consiglio dell’Ordine resistente ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, P. M. G., dopo aver premesso di aver partecipato e di aver superato le prove scritte del concorso pubblico per titoli ed esami a 12 posti a tempo indeterminato nell’area B, indetto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma il 10 febbraio 2011, ha impugnato la deliberazione del 5 aprile 2012 adottata dal medesimo Consiglio, con la quale è stato disposto l’annullamento in autotutela dell’atto di nomina della commissione di concorso.
La determinazione impugnata è stata adottata sul presupposto di una illegittima composizione della medesima commissione esaminatrice, nell’ambito della quale erano stati nominati due membri del Consiglio dell’Ordine di Roma, ritenuti in contrasto con l’art. 35, comma 3, lett. e) del D.lgs. 165/2001, richiamato dall’art. 6 del bando di concorso.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
Violazione e/o falsa applicazione dell’art. con l’art. 35, comma 3, lett. e) del D.lgs. 165/2001; illogicità; natura amministrativa del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma e non politica (ente pubblico non economico); carattere tassativo delle cause di incompatibilità dei membri della commissione; divieto di estensione analogica; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 del d.P.R. 487/1994; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 e 52 c.p.c.-; difetto di motivazione.
L’art. 35 comma, 3 lett. e), del d.lgs. 165/2001, richiamato a fondamento del provvedimento impugnato, è volto ad evitare che il meccanismo di assunzione alle dipendenze di una pubblica amministrazione possa essere influenzato da rapporti politici e/o economici.
Tale disciplina non si applicherebbe tuttavia al consiglio dell’ordine degli avvocati che ha natura di ente pubblico non economico.
Nella vicenda in esame non sussisterebbe alcuna causa di incompatibilità tra la carica di componente del consiglio e quella di componente della commissione posto che il bando di concorso non prevedeva tra i requisiti di partecipazione, l’abilitazione alla professione, che presuppone obbligatoriamente l’iscrizione all’albo e dunque l’eleggibilità attiva e passiva, ma il semplice possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado.
I candidati, pertanto, quand’anche titolari di laurea in giurisprudenza, non devono possedere tra i requisiti di partecipazione l’iscrizione all’albo professionale, per cui la presenza in commissione di componenti del consiglio dell’ordine non avrebbe potuto influire sull’esito delle prove concorsuali in quanto i partecipanti non posseggono diritto di voto in sede di assemblea elettorale.
II provvedimento impugnato non sarebbe sostenuto da adeguata motivazione, in quanto recherebbe un mero richiamo al parere legale reso dal Prof. Avv. F., il quale, peraltro, sarebbe assai limitato e riguarderebbe soltanto la composizione della commissione.
Si è costituto in giudizio il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, che, con memorie, ha contrastato l’avversa impugnazione, eccependo l’infondatezza delle censure proposte dalla ricorrente.
Con ordinanza n. 86 del 9.1.2013 è stata respinta l’istanza cautelare proposta dalla ricorrente in considerazione del fatto che “l’interesse oppositivo dedotto dalla ricorrente, nella sostanza finalizzato alla conservazione dell’efficacia degli atti della procedura concorsuale compiuti dalla Commissione (per effetto della quale la stessa si è collocata in posizione tale da vantare serie chances di collocarsi favorevolmente nella graduatoria finale, previo espletamento della prova orale del concorso) non appare comunque suscettibile di tutela in via cautelare, non potendosi ritenere sussistente un interesse concreto e attuale a fronte della successiva determinazione del Consiglio dell’Ordine volto alla revoca per sopravvenuti motivi di opportunità dell’intera procedura”.
La ricorrente ha depositato una memoria conclusionale.
Alla pubblica udienza del 18 giugno 2014, dopo ampia discussione tra le parti, il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

La questione posta all’esame del Collegio attiene alla legittimità della delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma adottata nell’adunanza del 5.4.2012, nella parte in cui è stato disposto l’annullamento in autotutela del provvedimento di nomina della commissione di concorso pubblico per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di 12 unità per l’area ‘B’ – posizione giuridica B1.
In via preliminare, anche alla luce delle ragioni che hanno indotto a respingere la domanda cautelare con l’ordinanza n. 86/2012 (sopra riportata), è opportuno osservare che, con sentenza n. 8065 del 19.6.2014, questa Sezione ha accolto il ricorso di cui all’RG n. 5484/2012 promosso da C. V., C. E., C. M. C., P. L. e B. A. per l’annullamento della delibera con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma ha revocato l’intera procedura di concorso in esame.
In virtù della predetta decisione n. 8065/2014 deve ritenersi, quindi, tuttora sussistente l’interesse di P. M. G. alla decisione in merito all’illegittimità della medesima delibera nella parte in cui ha disposto l’annullamento della nomina della Commissione di concorso, atteso che la stessa ricorrente, essendosi utilmente collocata nella graduatoria provvisoria redatta al termine delle prove scritte, ha titolo a partecipare alle successive fasi del concorso innanzi alla commissione nella sua originaria composizione, come sostenuto, altresì, dal legale dell’istante nel corso della udienza.
Venendo all’esame del merito con un unico articolato motivo si deduce l’erroneità della determinazione impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente l’incompatibilità dei due componenti della commissione esaminatrice, in ragione del fatto che gli stessi erano altresì membri del consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
La tesi merita adesione.
L’art. 51, primo comma, Cod. proc. civ., prevede che il giudice ha il dovere di astenersi nei seguenti casi: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
Il secondo comma dello stesso art. 51 dispone, infine, che il giudice ha la facoltà di richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi in ogni altro caso in cui ravvisi gravi ragioni di convenienza.
Ciò premesso occorre osservare che secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa “le cause d’incompatibilità sancite dall’art. 51, c.p.c., estensibili, in omaggio al principio costituzionale di imparzialità, a tutti i campi dell’azione amministrativa (…) rivestono carattere tassativo e, come tali, sfuggono ad ogni tentativo di estensione analogica, stante l’esigenza di assicurare la certezza dell’azione amministrativa” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 luglio 2014, n. 3856; idem, 30 luglio 2013, n. 4015).
In relazione a quanto stabilito dall’art. 51, la medesima giurisprudenza ha identificato – al fine di prevenire la illegittimità degli atti – alcune regole di condotta in capo all’amministrazione in specifici settori e, in particolare, in quello dei concorsi pubblici.
In particolare, si è affermato che:
– “la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità normativamente cristallizzate, salva la spontanea astensione di cui al capoverso dell’art. 51 c.p.c.”;
– “la conoscenza personale e/o l’instaurazione di rapporti lavorativi ed accademici non sono di per sé motivi di astensione, a meno che i rapporti personali o professionali non siano di rilievo ed intensità tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove, bensì in virtù delle conoscenze personali”;
– “perché i rapporti personali assumano rilievo deve trattarsi di rapporti diversi e più saldi di quelli che di regola intercorrono tra maestro ed allievo o tra soggetti che lavorano nello stesso ufficio”, essendo “rilevante e decisiva la circostanza che il rapporto tra commissario e candidato, trascendendo la dinamica istituzionale delle relazioni docente/allievo, si sia concretato in un autentico sodalizio professionale connotato dai caratteri della stabilità e della reciprocità d’interessi di carattere economico” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 4015 del 2013).
In definitiva, affinché sussista un vero e proprio obbligo di astensione deve essere dimostrata la sussistenza concreta di un rapporto di lavoro o professionale stabile con la presenza di interessi economici ovvero di un rapporto personale di tale intensità da fare sorgere il sospetto che il giudizio non sia stato improntato al rispetto del principio di imparzialità.
Nella fattispecie in esame non ricorrono tali condizioni.
Non risulta una connessione tra la carica di componente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma e il concorso in esame tale da fare presumere l’esistenza di una tale relazione professionale di rilevanza economica. Ciò in quanto il bando di concorso non prevedeva tra i requisiti di partecipazione il possesso della abilitazione alla professione legale, che comporta l’iscrizione obbligatoria all’albo e dunque l’eleggibilità attiva e passiva, ma il mero possesso di un diploma di istruzione secondaria di secondo grado.
In altri termini, attesa la natura della qualifica professionale messa a concorso (personale amministrativo in posizione giuridico/economica B1) non si ravvisano i termini della incompatibilità descritti dalle norme sopra richiamate, in quanto non appaiono ravvisabili immediate e chiare situazioni di interconnessione tra gli interessi personali dei candidati e quelli dei componenti della commissione d’esame in relazione alla carica di componenti del Consiglio dell’Ordine.
In mancanza di elementi probatori concreti riguardanti la sussistenza di un rapporto personale di intensità tale da integrare una vera e propria causa di astensione, la tesi esposta dalla ricorrente merita di essere condivisa.
In conclusione il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento della delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma adottata nell’adunanza del 5.4.2012 nella parte in cui è stato disposto l’annullamento in autotutela del provvedimento di nomina della commissione di concorso pubblico per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di 12 unità per l’area ‘B’.
Le spese di giudizio seguono la regola della soccombenza nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma adottata nell’adunanza del 5.4.2012 nella parte in cui è stato disposto l’annullamento in autotutela del provvedimento di nomina della commissione di concorso pubblico per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di 12 unità per l’area ‘B’.
Condanna il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida nella misura complessiva di € 2000,00 (duemila/00) oltre I.V.A. e C.P.A.-.
Contributo unificato a carico della parte resistente, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis 1., del d.P.R. n. 115 del 2002.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Corsaro, Presidente
Daniele Dongiovanni, Consigliere
Vincenzo Blanda, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)