LA CASSAZIONE DETTA LE REGOLE PER IL RICONOSCIMENTO DEL MOBBING.

LA CASSAZIONE DETTA LE REGOLE PER IL RICONOSCIMENTO DEL MOBBING.stressMobbing
(Cass. Civ., Sez. Lavoro, n. 10037/2015)

1. La Cassazione stabilisce i parametri tassativi – che debbono ricorrere tutti ed essere contestuali – per riconoscere la sussistenza del mobbing:

1) l’ambiente (le vessazioni devono avvenire sul luogo di lavoro);

2) la durata (i contrasti, le mortificazioni e altro devono avvenire in un congruo periodo di tempo);

3) la frequenza (le attività vessatorie – da provarsi – devono essere non episodiche ma reiterate e molteplici nel tempo);

4) il tipo di azioni ostili (debbono rientrare in almeno due delle categorie di azioni ostili riconosciute: a) attacchi alla possibilità di comunicare; b) isolamento sistematico; c) cambiamenti delle mansioni lavorative; d) attacchi alla reputazione; e) violenze o minacce;

5) il dislivello tra gli antagonisti (dando la prova dell’inferiorità del ricorrente);

6) l’andamento della vicenda secondo fasi successive (almeno alcune fra: a) conflitto mirato; b) inizio del mobbing; c) sintomi psicosomatici; d) errori e abusi; e) aggravamento della salute; f) esclusione dal mondo del lavoro; g) altre riconosciute;

7) l’intento persecutorio (occorre la prova di un disegno premeditato di vessare o tormentare il dipendente).

(Nella fattispecie era stato riscontrato un mobbing verticale, ossia messo in pratica da un superiore, con: “la sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati a quello che prima era un proprio sottoposto, l’assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più cocente la propria umiliazione”.
Sulla responsabilità del datore di lavoro, trattandosi di un Ente Locale, la Cassazione ha ritenuto che il Comune di Colonnella (TE) non poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice, “giacchè la circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all’art. 2049 c.c., ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo”. Nella specie, sottolineava la Corte del merito, “la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonchè organo politico, che l’ha comunque tollerata”.).