IN MATERIA DI INDIVIDUAZIONE DEGLI ORGANI DI INDIRIZZO POLITICO, IN PARTICOLARE IN UN ORDINE PROFESSIONALE

TAR_LazioIN MATERIA DI INDIVIDUAZIONE DEGLI ORGANI DI INDIRIZZO POLITICO, IN PARTICOLARE IN UN ORDINE PROFESSIONALE

 

(T.A.R. Lazio, Sez. III, 28/09/2015, n. 11430)

 

Il richiamo agli organi di indirizzo politico (come, peraltro, si desume dal recente parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, n. 3105/2014 con riferimento al CNEL) deve essere interpretato prendendo come riferimento gli artt. 4 e 14 del D.lgs n. 165 del 2001 nella parte in cui si fa riferimento, sebbene con riguardo alle “amministrazioni pubbliche”, all’organo che definisce obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizza e definisce le linee di azione dell’ente. Risulta poi chiaro che l’individuazione di tali organi dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento (cfr. TAR Lazio, Sez. III, n. 8375/2015).

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16110 del 2014, proposto da:
Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati in persona del suo Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Prosperetti e Domenico Tomassetti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Via G. Pierluigi da Palestrina, 19, come da procura a margine del ricorso;

contro

Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Comitato Unitario Permanente degli Ordini e dei Collegi Professionali in persona del legale rappresentante pro tempore, n.c.;

per l’annullamento

della delibera dell’ANAC n. 145/14, recante parere sull’applicazione agli Ordini e ai Collegi professionali della legge n. 190\2012 e dei relativi decreti delegati.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 maggio 2015 il consigliere Achille Sinatra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

I. – Con ricorso notificato il 17 dicembre 2014 e depositato il successivo giorno 19, il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare, la delibera numero 145\2014 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), recante “Parere dell’Autorità sull’applicazione della L. 190\2012 e dei decreti delegati agli Ordini e Collegi professionali”, nonchè l’atto della medesima autorità con cui è stato deciso che le sanzioni previste in caso di inosservanza agli obblighi derivanti da tale normativa si applichino dal 1° gennaio 2015.

II. – La deliberazione dell’ANAC in questione prende le mosse dalla nota del 23 febbraio 2014 del Presidente del Comitato Unitario Permanente degli Ordini e Collegi professionali, la quale aveva sottoposto all’Autorità un parere pro veritate reso dal prof. Alberto Capotosti in ordine all’applicabilità a detti Enti delle disposizioni della legge n. 190 del 2012 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) e del decreto legislativo n. 33 del 2013 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni).

Secondo tale parere la citata disciplina non si applicherebbe in via diretta a Collegi ed Ordini, ma porrebbe in capo ai medesimi soltanto un obbligo di adeguamento ai relativi principi, poiché, in sintesi:

– il riferimento dell’art. 11 del d.lgs. n. 33\2013 agli Enti menzionati nell’art. 1 comma II del d.lgs. n. 165\2001 è utile alla ricognizione delle amministrazioni vincolate al regime organizzativo previsto in via generale per il pubblico impiego, ma non ha il medesimo valore quando il richiamo è utilizzato nell’ambito di materie che si allontanano da quelle del lavoro pubblico;

– peraltro, anche in quest’ultimo ambito, detti Enti non applicano direttamente il d. lgs. n.165\2001, ma, a tenore dell’art. 2 comma II bis del D.L. 31 agosto 2013 n. 101, si adeguano ai relativi principi;

– si tratta di enti di natura associativa, che non gravano sulle risorse pubbliche (tanto da non essere assoggettate al controllo sulla gestione della Corte dei Conti, come affermato da Cass. n. 22126\2011), ma che si giovano unicamente dei contributi degli iscritti;

– il diritto comunitario (v. Corte CE 12 settembre 2013, C-526\11) li esclude dalla sfera di applicabilità della direttiva 2004\18\CE;

– per tale ragione non sussisterebbe neppure l’interesse della collettività alla pubblicazione integrale dei dati che riguardano gli amministratori;

– la L. 190\2012, nell’indicare l’oggetto della delega che ha dato poi luogo al d.lgs. n. 33\2013, fa riferimento all’elenco di cui all’art. 1 comma II del d.lgs. n. 165\2011 con esclusivo riguardo a chi abbia compiti di gestione, e non con riguardo a chi sia titolare di cariche politiche, se non di “livello statale, regionale e locale”, e dunque nei soli Enti territoriali; e comunque la differenza tra organi di amministrazione ed organi di gestione, essendo dettata dall’art. 4 del d. lgs. n. 165\2001, non sarebbe direttamente applicabile agli Ordini, che a quel testo unico devono solo adeguarsi nei principi;

– le disposizioni del d.lgs. n. 33\2013 male si attaglierebbero alle realtà organizzative e dimensionali (spesso minime) ed alle funzioni degli Ordini;

– con specifico riferimento al piano di prevenzione della corruzione, i commi da V a XXIV della legge delega n. 190\2012 si riferiscono alle sole pubbliche amministrazioni centrali, mentre il comma LX lettera a) a regioni ed enti locali.

Preso atto di tale parere, l’ANAC, pur tenendo in considerazione la peculiare natura degli Enti esponenziali delle comunità professionali, nella delibera n. 145 ha rilevato che essi si collocano, ai sensi dell’art. 1 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001, nel novero degli Enti pubblici non economici, appartenenti al comparto del c.d. parastato, e che tra di essi ed i loro dipendenti intercorre un rapporto di pubblico impiego.

Pertanto -ha concluso l’Autorità- a detti Enti si applica tutta la normativa inerente gli obblighi e gli adempimenti tesi a prevenire la corruzione.

E dunque occorre che essi provvedano alla predisposizione del Piano triennale di prevenzione della corruzione e del Piano triennale della trasparenza, nonchè alla nomina del Responsabile della prevenzione della corruzione; che essi curino l’adempimento agli obblighi di trasparenza di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013; che essi osservino i divieti in materia di inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013.

III. – L’ente ricorrente premette che l’applicazione della normativa di contrasto alla corruzione ai Collegi provinciali degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati (che, uniti, costituiscono un solo Collegio Nazionale) comporterebbe numerose difficoltà attuative, dovute alle dimensioni (spesso minime) e alle semplici caratteristiche strutturali di tali espressioni locali della categoria, ed affida l’impugnazione della deliberazione su citata ai seguenti motivi:

1) Violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, del d. lgs. n. 39 del 2013, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, dell’art. 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, del D. L. n. 90\2014, eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorietà, manifesta ingiustizia, sviamento.

La normativa di contrasto alla corruzione non si presterebbe all’applicazione diretta ad Ordini e Collegi professionali perché questi ultimi non sarebbero ricompresi nel novero di enti scolpito dall’art. 1 comma II del decreto legislativo n. 165\2001, elenco oramai tralatiziamente utilizzato dal legislatore quando esso intende riferirsi al tutte le pubbliche amministrazioni, come fa anche l’art. 1 comma 59 della legge n. 190 del 2012.

La diretta ed immediata applicabilità della detta normativa agli Ordini sarebbe mediata, secondo l’ANAC, dal fatto che i relativi rapporti di lavoro subordinato si ascrivono al pubblico impiego.

A questo proposito, l’ANAC non avrebbe tenuto nella debita considerazione che l’art. 2, comma 2-bis del decreto legge 31 agosto 2013 n. 101 escluderebbe le organizzazioni ricorrenti dall’alveo di applicabilità diretta della normativa in discorso, in quanto prevede che “gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo canto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad eccezione dell’articolo 4, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ad eccezione dell’articolo 14 nonchè delle disposizioni di cui al titolo III, e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanta non gravanti sulla finanza pubblica”.

E proprio le peculiari caratteristiche dei Ordini e Collegi professionali, che hanno indotto la giurisprudenza della Corte di Cassazione a ritenerli non soggetti al controllo della Corte dei Conti, avrebbero avuto l’effetto di portare il legislatore ad escludere tali Enti dalla cerchia di quelli contemplati dall’art. 1 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Il medesimo approccio sostanzialistico, e non formale-letterale, verrebbe seguito dalla giurisprudenza europea, la quale avrebbe negato che le organizzazioni ordinistiche costituiscano organismi pubblici ai sensi della Direttiva 2004/18/CE sugli appalti pubblici nei settori classici, non soddisfacendo essi “nè il criterio relativo al finanziamento maggioritario da parte dell’autorità pubblica … nè il criterio relativo al controllo della gestione da parte dell’autorità pubblica”.

2) Violazione e falsa applicazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, del d. lgs. n. 39 del 2013, del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, dell’art. 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, del D. L. n. 90\2014, del DPR n. 68\1986, eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche, in particolare difetto di istruttoria, travisamento, contraddittorieta’, manifesta ingiustizia, sviamento.

Altro argomento escludente dall’ambito applicativo della normativa in tema di contrasto alla corruzione sarebbe costituito dal fatto che essi non siano considerati tra quelli “gravanti sulla spesa pubb!ica” dall’art. 2, comma 2-bis, D.L. n. 101 del 2013, in quanto sostenuti dalla contribuzione obbligatoria degli associati. Dunque, non vi sarebbe necessità del controllo diffuso postulato dalla citata normativa.

Inoltre, le dimensioni delle piante organiche degli Enti in questione (che, spesso, nelle articolazioni provinciali di base, annoverano meno di cento iscritti) spesso minime e comprendenti un solo dipendente, sovente privo di qualifica dirigenziale, impedirebbero in radice -in quanto troppo onerosa- la effettuazione degli adempimenti richiesta, pena gravose sanzioni, dalla normativa anticorruzione.

Sarebbe poi illegittima la sottoposizione dei titolari di cariche politiche agli obblighi informativi di tipo patrimoniale agli organi politici, che la legge n. 190 del 2012 riserverebbe ai dirigenti mediante il consueto rinvio all’elenco di cui all’art. 1 comma II del decreto legislativo n. 165 del 2001, che, invece, non è stato formulato quanto ai titolari delle cariche politiche, perché non è applicabile a detti enti, in forza del ridetto art. 2 comma II bis d. L. n. 101\2013, l’art. 4 d.lgs.n. 165\2001, che prevede la distinzione tra organi politici e organi di gestione.

In tal senso militerebbe, ancora, la natura associativa delle organizzazioni ricorrenti.

3) Illegittimità costituzionale dell’ art. 11 del d.lgs. n. 33 del 2013 e dell’art. 1 comma LIX L. 190\2012 per violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Per le ragioni esposte nei moti che precedono, comunque, le norme citate in rubrica contrasterebbero con il principio di ragionevolezza, perché postulare la loro applicabilità non terrebbe conto della natura degli enti esponenziali della categoria ricorrente.

IV. – L’ANAC si è costituita in giudizio per resistere al ricorso, eccependo, con memoria, in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto gli atti impugnati avrebbero mera natura di pareri, mentre la applicabilità delle misure di contrasto alla corruzione deriverebbe, per gli Ordini professionali, direttamente dalla legge; nel merito, poi, la difesa dell’Autorità ha contrastato puntualmente tutte le avverse censure, chiedendone il rigetto.

V. – In occasione della camera di consiglio del 29 gennaio 2015 la parte ricorrente ha rinunziato alla domanda cautelare, chiedendo la fissazione dell’udienza di trattazione nel merito.

In vista della pubblica udienza di discussione i ricorrenti hanno depositato una memoria in cui hanno replicato alle eccezioni formulate dall’Avvocatura dello Stato ed hanno ribadito le proprie tesi.

In occasione della pubblica udienza del 20 maggio 2015 il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

I. – Viene in decisione il ricorso con il quale il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati ha impugnato la deliberazione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione numero 145 del 2014, con la quale è stata ritenuta applicabile a detto Ente ed ai Collegi provinciali di categoria, in via diretta (e non mediata da atti applicativi emessi dai medesimi organismi interessati) tutta la normativa in materia di contrasto alla corruzione, con particolare riferimento alla legge-delega n. 190 del 2012 e al decreto legislativo n. 33 del 2013; ha altresì impugnato il provvedimento con cui l’ANAC ha deciso di attivare l’attività di controllo e repressione in caso di mancata ottemperanza alla detta normativa a far data dal primo gennaio 2015.

In via del tutto preliminare deve essere delibata l’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla difesa dell’ANAC, la quale assume che la precettività della normativa in questione sarebbe, per gli Enti ricorrenti, diretta ed immediata, e non deriverebbe dalle due deliberazioni impugnate, atti di natura solo consultiva; sicchè difetterebbe l’interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti.

L’eccezione va respinta.

Come già affermato dalla Sezione con la sentenza n. 8376 del 15 giugno 2015, la deliberazione n. 144\2014 dell’ANAC (non gravata nel presente giudizio), al paragrafo 10, afferma che il mancato adeguamento degli Enti destinatari ai dettami della normativa anticorruzione, nei sensi indicati nella impugnata deliberazione n. 145\2014, avrebbe comportato, a far data dai 30 giorni successivi alla pubblicazione della delibera, l’esposizione ai poteri di vigilanza e sanzionatori dell’ANAC previsti dall’art. 47 del d. lgs. n. 33\2013 per i casi di mancata o incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all’articolo 14 o di violazione degli obblighi di pubblicazione di cui all’articolo 22, comma 2 del medesimo decreto; e che il Presidente dell’ANAC provvederà a comunicare, ai sensi dell’art. 19 comma VII del D.L. n. 90\2014, all’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni, l’inadempimento ai suddetti obblighi, secondo gli schemi ordinari contemplati nella L. n. 689\1981.

Successivamente, con la delibera della medesima Autorità n. 10 del 21 gennaio 2015, l’ANAC si è individuata quale soggetto competente all’avvio del procedimento sanzionatorio per le violazioni di cui all’art. 47 citato, ed ha altresì individuato nel Prefetto l’autorità amministrativa competente all’irrogazione delle sanzioni definitive.

La possibile esposizione a tale attività sanzionatoria comporta l’interesse degli Enti contemplati nella deliberazione n. 145 ad adire il Giudice Amministrativo al fine di vedere pronunziare l’illegittimità della medesima nella parte in cui si riferisce anche ad essi.

La conclusione cui è già pervenuta la Sezione nell’occasione ricordata si rivela tanto più fondata a seguito della recente pubblicazione del “Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio, ai sensi dell’art. 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33” dell’ANAC nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 luglio 2015, n. 176, in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione.

In definitiva, quanto rileva ai fini dell’ammissibilità del ricorso in esame non è tanto il fatto che la normativa sostanziale in materia di trasparenza e di lotta alla corruzione abbia, o non, precettività immediata nei confronti dei suoi destinatari, ed in particolare nei confronti dei ricorrenti odierni; che costituisce, invece, questione di merito sottesa all’impugnazione oggi in esame.

La lesività delle deliberazioni gravate nei confronti degli Enti ricorrenti, e il conseguente interesse processuale di questi ultimi al loro eventuale annullamento giurisdizionale, deriva piuttosto dal combinarsi di poteri e compiti che la normativa di rango primario (ossia l’art. 19 comma VII e l’art. 47 del d.lgs. n. 33\2013) affidano all’ANAC ed al suo Presidente, con l’espresso richiamo al possibile esercizio di tali poteri sanzionatori verso gli enti inottemperanti.

In altri termini, la fonte degli obblighi previsti dalla normativa in discorso e la soggezione alle sanzioni in caso di violazione di detti obblighi non è -né potrebbe essere- costituita dagli atti dell’ANAC, comprese le deliberazioni impugnate: ma queste ultime costituiscono i prodromi all’eventuale applicazione di sanzioni agli enti ivi contemplati che non abbiano ottemperato alle prescrizioni di cui all’art. 47 d.lgs. n. 33\2013, così che la eventuale declaratoria giurisdizionale dell’illegittima ricomprensione degli Ordini e Collegi Professionali nel novero dei soggetti obbligati comporterebbe la sottrazione al preannunziato esercizio del potere sanzionatorio.

Il ricorso, pertanto, è ammissibile e può essere delibato nel merito.

2. – Esso è infondato.

Non possono essere condivisi il primo ed il secondo motivo, che per comodità espositiva verranno trattati congiuntamente.

Con il primo mezzo il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati assume che sarebbe criterio insufficiente ed errato, per ricomprendere detti enti nel campo di diretta applicazione della disciplina derivante dalla legge n. 190\2012 e dai relativi decreti delegati, quello di fare riferimento -come hanno fatto le deliberazioni impugnate e lo stesso comma LIX della legge delega- al novero di pubbliche amministrazioni citate dall’art. 1 comma II del d.lgs. n. 165\2001, poichè sarebbe errata l’equazione per cui laddove vi è rapporto di pubblico impiego vi è anche una pubblica amministrazione; rapporto di pubblico impiego la cui disciplina non si applica al ricorrente e ai Collegi provinciali, poiché l’art. 2 comma II bis del decreto legge n. 101\2013 dispone: “Gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa, con propri regolamenti, si adeguano, tenendo conto delle relative peculiarità, ai principi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ad eccezione dell’articolo 4, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ad eccezione dell’articolo 14 nonché delle disposizioni di cui al titolo III, e ai principi generali di razionalizzazione e contenimento della spesa, in quanto non gravanti sulla finanza pubblica.”

Con il secondo motivo il ricorrente riprende l’argomentazione legata all’art. 2 comma II bis del D. L. n. 101\2013, e soggiunge che la normativa anticorruzione non avrebbe ragione di applicarsi ai detti Collegi perché essi, enti di natura associativa degli appartenenti ad una categoria, non gravano sulla spesa pubblica, sostentandosi dei soli contributi degli iscritti, tanto che la sentenza della Cote di cassazione n. 21226 del 2011 ha escluso le organizzazioni professionali dal controllo di gestione della Corte dei Conti; inoltre, gli adempimenti dettati dalle disposizioni in questione risulterebbero del tutto inattuabili dalle articolazioni, spesso minime, del Collegio; alcuni di tali adempimenti (segnatamente, gli obblighi di pubblicazione di cui al d. lgs. n. 33\2013) si riferirebbero, poi, ai soli titolari di poteri di gestione, e non agli organi politici, posta l’inapplicabilità dell’art. 4 d.lgs. n.165\2001 (che postula la separazione tra organi politici ed organi di gestione) alle organizzazioni in questione.

2.1 – I due motivi sono infondati.

Il primo argomento atto a smentire tali costruzioni ha natura testuale, ed è costituito dal combinato disposto tra gli articoli 2 e 4 della legge 6 giugno 1986 n. 251, per quali sia il Collegio Nazionale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici Laureati che i Collegi provinciali hanno personalità giuridica di diritto pubblico; il primo ha addirittura sede in Roma presso il Ministero della giustizia.

Alla luce di questa univoca definizione, posta dal diritto positivo, risulta pienamente soddisfatto il principio, affermato dall’art. 4 della legge n. 70 del 1975 ed ancora presente nel nostro ordinamento (v. di nuovo la sentenza 8376\2015 della Sezione), per il quale “nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”: da cui deriva che la qualità di ente pubblico deve essere affermata espressamente da una disposizione di legge, o, quantomeno, deve derivare da un chiaro quadro normativo di riferimento.

La definizione positiva di enti pubblici (di evidente natura non economica) che i citati articoli 2 e 4 della legge che ne regola natura e funzioni ha riservato alle citate organizzazioni professionali deve ritenersi di per sé sufficiente al rigetto delle censure in esame.

Tale positiva definizione, infatti, induce a ritenere che il richiamo del comma LIX della legge n. 190 del 2012 e dello stesso provvedimento impugnato al novero degli enti pubblici non economici non deriva affatto -come assume il motivo in esame- dalla ritenuta equazione pubblico impiego-pubblica amministrazione, che, in tesi, non varrebbe per le organizzazioni ordinistiche a causa dell’esclusione dalla diretta applicazione del testo unico sul pubblico impiego dovuta all’art. 2 comma II bis del decreto legge n. 101 del 2013.

Il detto richiamo, in realtà, nulla ha a che vedere con l’applicazione (diretta o indiretta) della disciplina sul pubblico impiego.

Mediante la tecnica del richiamo alle pubbliche amministrazioni contenuta nell’art. 1 comma II del d. lgs. n. 165\2001, la legge n. 190 del 2012 (in ciò seguita dal provvedimento impugnato) ha esercitato il riferimento ad una elencazione normativa tendenzialmente esaustiva di tutte le possibili categorie di enti pubblici previste nel nostro ordinamento; e in una di tali categorie (quella degli enti pubblici non economici) rientrano, per diretta ed espressa volontà della legge n. 251 del 1986, il Collegio ricorrente e le sue articolazioni territoriali.

2.2 – Tanto basterebbe al rigetto dei motivi in esame, perché la qualificazione normativa appena rilevata esime l’interprete dall’indagare circa la applicabilità al Collegio ricorrente c.d. nozione “funzionale” di ente pubblico, invalsa in giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, n. 2660\2015), per cui il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa.

Tuttavia, il Collegio intende darsi carico di affrontare l’argomento, sotteso ai due motivi in esame, per il quale l’art. 2 comma II bis del decreto legge n. 101 del 2013, nell’escludere “gli ordini, i collegi professionali, i relativi organismi nazionali e gli enti aventi natura associativa” dalla diretta applicabilità del d. lgs. n. 165\2001, li avrebbe, per così dire, automaticamente sottratti alla categoria cui tale compendio normativo, all’art. 1 comma II, li aveva ascritti, ovvero a quella degli enti pubblici non economici.

2.2.1. – Questo argomento è, in realtà, smentito in radice già da quanto detto al paragrafo 2.1 della presente motivazione a proposito della totale irrilevanza, nel complessivo disegno normativo ivi succintamente ricordato, della applicabilità (o della non applicabilità) diretta del testo relativo al lavoro alle dipendenza da pubbliche amministrazioni.

2.2.2 – Occorre poi rilevare che l’esclusivo finanziamento mediante i contributi degli iscritti non ha fatto desistere il legislatore dal qualificare espressamente le organizzazioni professionali in questione quali enti pubblici non economici.

La natura pubblica degli enti esponenziali della categoria in questione risponde a finalità che travalicano gli interessi della categoria medesima, e che hanno evidenti connotati pubblicistici: si pensi alle “attribuzioni” che l’art. 4 della L. n. 252\1986 riserva al Collegio nazionale, quali esprimere, quando richiesto dai Ministeri interessati o dal Parlamento, il proprio parere sui progetti di legge e di regolamento che interessano la professione; vigilare sul regolare funzionamento dei collegi periferici coordinandone l’attività mediante apposite direttive; determinare i princìpi deontologici da osservarsi nell’esercizio della professione; determinare la misura del contributo annuo da corrispondersi, da parte degli iscritti negli albi, nei limiti strettamente necessari a coprire le spese per il proprio funzionamento; determinare la misura massima dei contributi annui e tasse da corrispondersi, da parte degli iscritti negli albi, per il funzionamento dei collegi provinciali; decidere in via amministrativa sui ricorsi ovvero sulle deliberazioni dei consigli dei collegi provinciali in materia di iscrizione, cancellazione o reiscrizione nell’albo, sui ricorsi in materia disciplinare ed in materia elettorale; proporre la costituzione di nuovi collegi ed esprime il proprio parere nei casi di fusione di collegi; esprimere il proprio parere sullo scioglimento dei consigli dei collegi provinciali e segnala al Ministero della giustizia una terna di nomi fra cui nominare un commissario straordinario; promuovere e coordina le iniziative intese all’aggiornamento ed al perfezionamento tecnico e culturale degli iscritti negli albi; curare e promuove relazioni con associazioni ed enti professionali stranieri.

I servizi riservati agli iscritti, quindi, assumono valenza non suscettibile di minare la natura pubblica degli enti e di queste stesse.

E proprio per l’esercizio di tali funzioni pubbliche è previsto dalla legge il contributo periodico degli iscritti, che è connotato da requisiti che ne attestano la natura tributaria, quali la doverosità della prestazione ed il collegamento della prestazione imposta alla spesa pubblica riferita a un presupposto economicamente rilevante, come accade anche per gli oneri connessi all’iscrizione ad altre organizzazioni professionali (in materia di natura tributaria contribuzione dovuta dagli appartenenti agli Ordini forensi, si veda Cassazione civile, sez. un. 26/01/2011 n. 1782).

2.2.3. – Con specifico riferimento alla natura associativa degli enti, il fatto che essa non escluda certo lo status di ente pubblico non economico è attestato dall’argomento, ancora una volta di diritto positivo, per cui l’ordinamento non ha avuto difficoltà a riconoscere prima, ed a ribadire dopo, la qualificazione di enti pubblici ad altre organizzazioni di tipo associativo.

Si pensi, ad esempio, all’Automobile Club d’Italia, riconosciuto quale Ente pubblico non economico dall’elenco annesso alla legge n.70 del 1975 (e quale ente necessario perché non soggetto alla soppressione operata dalla medesima legge per gli enti ivi non menzionati), e la cui natura pubblica è stata ribadita, anche quando le altre federazioni sportive nazionali sono state trasformate in associazioni private, mediante l’art. 18 comma VI della legge n. 242 del 1999.

Si pensi, ancora, agli Automobile Club Provinciali, anch’essi tipicamente associativi, federati all’Automobile Club d’Italia, la cui natura di enti pubblici necessari è stata oggetto di ricognizione dal D.P.R. n. 665 del 1977.

Non è superfluo notare che anche tali Enti sono stati oggetto di una deliberazione dell’ANAC relativa alle modalità applicative della normativa sul contrasto alla corruzione (Del. 20 febbraio 2013, n. 11).

2.2.4. – Non può essere accolto il profilo di censura per cui le dimensioni degli Enti in questione ne impedirebbero l’osservanza degli adempimenti previsti dalla legge n. 190 e dal d. lgs. n. 33\2013.

Occorre innanzitutto osservare che l’art. 1 della legge n. 190, al comma XXXIV, recita: “Le disposizioni dei commi da 15 a 33 si applicano alle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, agli enti pubblici nazionali, nonché alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea.”

Questa disposizione ha l’evidente funzione di precisare che, per tutti i destinatari della legge-delega, pubblici e privati, si applica la relativa disciplina, sebbene solo con riferimento alle funzioni di pubblico interesse svolte dai medesimi.

Ma -si deve osservare- perchè tale applicazione avvenga concretamente occorre che le relative disposizioni siano adattate alla natura ed alle dimensioni di ogni singolo ente.

Sotto questo profilo si deve ritenere che le stesse finalità della normativa, che ne postulano una applicazione quanto più possibile estesa (testimoniata dalle disposizioni che ne implicano l’applicabilità anche alle società pubbliche: v. ancora il comma XXXIV) comportino che determinate disposizioni delle medesima non siano inderogabili.

Ciò al fine di impedire che ragioni contingenti ed eventuali, quali le dimensioni di un dato ente e la sua consistenza organica, impediscano l’applicazione diretta e concreta della normativa di contrasto alla corruzione.

Si pensi, ad esempio, alla nomina del responsabile della prevenzione della corruzione, che la legge circoscrive “di norma”, alle figure dirigenziali (comma VII dell’art. 1 L. 190\2012).

Occorre ritenere che solo ove tali figure dirigenziali vi siano, si dovrà nominare un dirigente; ma qualora esse non siano previste dalla pianta organica (o comunque non siano presenti), si dovrà dare preferenza all’applicazione più lata della norma, e dovrà essere nominato un soggetto non dotato di qualifica dirigenziale.

Lo stesso può dirsi a proposito della redazione del piano di prevenzione della corruzione, che per il comma VIII non può essere affidata all’esterno: qualora non sussistano idonee professionalità all’interno dell’ente, si potrà utilmente fare ricorso al generale istituto dell’accordo tra pubbliche amministrazioni, disciplinato dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990; norma, quest’ultima, che soccorre in via generale qualora sia necessario o opportuno che determinate pubbliche amministrazioni svolgano in comune determinate attività o funzioni.

E’ appena il caso di precisare che quella appena prospettata è operazione che postula proprio la cogenza immediata e diretta di tutti gli obblighi previsti dalla disciplina di contrasto alla corruzione; ed è, quindi, ben altro rispetto alla mancata o solo parziale sottoposizione ai medesimi obblighi (perché, in tesi, limitata dalle caratteristiche organizzative e dimensionali delle sue articolazioni provinciali) e mediata dalla propria regolamentazione interna.

2.2.5. – Va disatteso anche l’argomento con cui il ricorrente contesta l’applicabilità degli obblighi di pubblicazione previsti dalla legge n. 190 del 2012 (e dal decreto delegato n. 33 del 2013) ai propri organi di indirizzo politico, perché l’organizzazione di detti enti non prevedrebbe la distinzione, posta dall’art. 4 comma IV d. lgs. n. 165\2001, tra organi di indirizzo politico ed organi di gestione.

La censura è infondata per quanto detto in precedenza con riguardo all’irrilevanza della norma (art. 2 comma II bis D. L. n. 101\2013) che esclude la diretta applicabilità del decreto legislativo n. 165 del 2001 agli Ordini; considerazioni alle quali si rinvia per brevità.

Ad esse è sufficiente aggiungere che la Sezione ha già affrontato la questione nella già ricordata sentenza n. 8375\2015, concludendo che “il richiamo agli organi di indirizzo politico (come, peraltro, si desume dal recente parere reso dal Consiglio di Stato, sez. II, n. 3105/2014 con riferimento al CNEL) debba essere interpretato prendendo come riferimento gli artt. 4 e 14 del D.lgs n. 165 del 2001 nella parte in cui si fa riferimento, sebbene con riguardo alle “amministrazioni pubbliche”, all’organo che definisce obiettivi, priorità, piani e programmi e che, in estrema sintesi, indirizza e definisce le linee di azione dell’ente. Risulta poi chiaro che l’individuazione di tali organi dovrà essere effettuata in concreto con riferimento alle peculiarità dell’ente di riferimento”.

Ancora una volta, il punto nodale della questione non è tanto se si possa applicare direttamente la disciplina del d.lgs. n. 165\2001 (e dunque anche il relativo art. 4); quanto, invece, sotto il profilo sostanziale, l’esistenza, nell’ordinamento degli enti in questione, di un organo, comunque denominato, che ha il compito di indirizzare e definire le linee di azione dell’ente, cui gli obblighi in questione possono, dunque, essere riferiti.

3. – Con l’ultimo motivo i ricorrenti chiedono che, in caso di ritenuta conduzione dei medesimi nel novero degli enti tenuti, ai sensi dell’art. 1 comma LIX della legge n. 190\2012, all’applicazione della normativa anticorruzione, questo TAR sollevi la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione e degli articoli 11 d. lgs. n. 33 del 2013 e 1 comma LIX della L. n. 190\2012 in relazione all’articolo 3 della Costituzione ed al principio di ragionevolezza.

A questo fine, il ricorrente ripercorre le medesime argomentazioni poste a base delle precedenti censure.

Le questione è manifestamente infondata, atteso che il legislatore come detto, negli articoli 2 e 4 della L. n. 251\1986, pur tenendo conto caratteristiche degli enti in questione, ne ha affermato a chiare lettere la natura di enti pubblici; così che tale qualità non risulta -per così dire- mediata dalla diretta applicazione della disciplina sul pubblico impiego.

Inoltre, come pure affermato in precedenza, detta natura pubblica risponde appieno alla finalità che la medesima riforma attribuisce alla stessa esistenza dei Collegi in parola.

D’altra parte, l’ipotizzata esenzione solo di alcuni enti pubblici non economici, rispetto alla generalità della categoria e rispetto a tutti gli altri enti pubblici, dall’osservanza dei detti obblighi, comporterebbe -essa sì- la lesione del principio di cui all’art. 3 della Costituzione.

4. – In conclusione, il ricorso è infondato, e va respinto.

La novità delle questioni trattate induce all’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Corsaro, Presidente

Vincenzo Blanda, Consigliere

Achille Sinatra, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)