ANCORA SUL CONTROINTERESSATO NEI PROCEDIMENTI CONCORSUALI, SUGLI EFFETTI DELL’ANNULLAMENTO DELLA PROCEDURA DI MOBILITÀ, SULL’INCARICO EQUIVALENTE A QUELLO DIRIGENZIALE

foto_GU_concorsiANCORA SUL CONTROINTERESSATO NEI PROCEDIMENTI CONCORSUALI, SUGLI EFFETTI DELL’ANNULLAMENTO DELLA PROCEDURA DI MOBILITÀ, SULL’INCARICO EQUIVALENTE A QUELLO DIRIGENZIALE

 

(Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, sentenza 09/06/2015, n. 430)

  1. In termini generali, vale ribadire come il procedimento concorsuale possa ritenersi concluso solamente all’atto dell’approvazione della graduatoria finale, quando si cristallizza l’esito della selezione e diventa definitivo l’effetto lesivo che da esso (eventualmente) deriva. Prima di tale momento, tutti gli atti e i giudizi posti in essere dall’amministrazione, per lo più attraverso una commissione di esame all’uopo nominata, hanno natura endoprocedimentale e non sono immediatamente o autonomamente impugnabili (v., ex multis, Cons. St., V, n. 8075/2006 e VI, n. 4882/2003). In questa logica – a differenza dell’esclusione che si traduce per chi la subisce in un effetto immediatamente lesivo, cui può essere equiparata l’ipotesi di un giudizio negativo, di non idoneità, all’esito delle prove, scritte od orali (cfr. Cons. St., V, n. 5294/2014) – l’ammissione di un (altro) concorrente non ha invece di per sé efficacia lesiva, considerato che, in esito allo svolgimento delle prove, il medesimo concorrente ben potrebbe classificarsi in una posizione non utile della graduatoria finale.

  1. L’annullamento della procedura di mobilità (rectius, della cessione dell’originario contratto, per un vizio della volontà: errore e/o dolo), comporta la permanenza, ovvero il ripristino, del rapporto di lavoro del dipendente ceduto con la parte cedente, quindi con l’ente pubblico di provenienza.

  1. L’attività personale, continuativa e coordinata, svolta per anni da un avvocato del libero foro a favore di un Comune (per il numero e la varietà delle cause assegnategli, la disponibilità di una stanza e di dotazioni informatiche, la partecipazione alle riunioni dell’avvocatura comunale), non contraddice la natura pur sempre di lavoro autonomo del rapporto intercorso con il Comune medesimo ed il suo carattere non esclusivo, confermata dal fatto della mancata iscrizione sia all’albo speciale degli avvocati (degli enti pubblici), sia alla gestione (neppure separata) dell’Inps, continuando a patrocinare anche in favore di altri soggetti.

  1. In assenza di un provvedimento di formale conferimento di un incarico dirigenziale lo svolgimento di ripetuti incarichi a contratto ad alto contenuto di professionalità non possono fondare un giudizio di equiparazione ex post ad un incarico dirigenziale (v., in questo senso, Cass. sez. lav., n. 689/2014).

 00430/2015REG.PROV.COLL.

 00805/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

 in sede giurisdizionale

 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 805 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

V., rappresentato e difeso dagli avv. ti G. I., A. L. M. T., P. S. e da se stesso, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Palermo, Via L., 171;

contro

D., rappresentata e difesa dagli avv.ti A. S. e H. B., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. A. P. in Palermo, Via G. V., 4;

nei confronti di

Istituto Autonomo Case Popolari di Catania, in persona del Legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Francesco Vitale, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Carmela Mangalaviti in Palermo, Via Alloro, 36;

Assessorato Regionale Infrastrutture e Mobilità, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Palermo, Via De Gasperi, 81;

per la riforma

della sentenza del TAR SICILIA – CATANIA :Sezione II n. 2096/2012, resa tra le parti, concernente la graduatoria del concorso per un posto di dirigente dell’area legale dello IACP

 

Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’appello incidentale dello IACP;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza n. 609/2012 con cui è stata respinta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado;

Viste le ordinanze istruttorie di questo Consiglio n. 580/2013 e 194/2014;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2015 il Cons. Hadrian Simonetti, uditi per le parti gli Avvocati T., S., G., su delega di V., e l’Avvocato dello Stato P.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

  1. L’Istituto IACP della Provincia di Catania ha bandito un concorso per l’attribuzione di un posto di dirigente dell’area legale, nel ruolo unico dei dirigenti di detto ente.

All’esito delle prove scritte ed orali è risultato primo classificato l’avv. V. M., seconda l’avv. D. C..

  1. Proposto ricorso da quest’ultima avverso la graduatoria e la successiva nomina, deducendo che il vincitore non dovesse essere ammesso alla selezione non avendo i requisiti prescritti dall’art. 3 del bando, in particolare non essendo dipendente di una pubblica amministrazione, il Tar lo ha accolto annullando l’ammissione, l’atto di approvazione finale della graduatoria e quello di nomina.

Il Giudice di primo grado, dopo avere respinto il ricorso incidentale proposto dal primo classificato, preordinato all’esclusione dell’avv. C. dal medesimo concorso, ha ritenuto l’impugnazione principale fondata sul rilievo che l’avv. M. non avesse i requisiti per l’ammissione alla selezione, non essendo dipendente di ruolo della p.a. né avendo ricoperto incarichi dirigenziali, o ad essi equiparati per legge, in amministrazioni pubbliche, non rilevando nel secondo senso gli incarichi professionali conferitigli dal Comune di Catania e da lui svolti presso l’avvocatura di tale ente dal 1999 al 2007.

  1. L’avv. M. ha proposto un lungo ed articolato appello avverso la sentenza, eccependo in primo luogo la tardività del ricorso di primo grado notificato l’8.5.2012, sull’assunto che controparte non avrebbe impugnato nel termine decadenziale di legge la graduatoria pubblicata il 16.11.2011, nonché la sua inammissibilità sotto vari profili, in massima parte legati ai motivi di esclusione specularmente dedotti nei confronti dell’avv. C. con il ricorso incidentale paralizzante, motivi già proposti in primo grado e, si assume, erroneamente disattesi dal Tar.

3.1. Nel merito della, propria, legittima ammissione al concorso, la difesa appellante sostiene che il M. avrebbe avuto i requisiti di partecipazione richiesti dal bando, anche sulla base di un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata della lex specialis, sul presupposto che l’incarico professionale svolto per otto anni presso l’avvocatura del Comune di Catania fosse equiparabile ad un incarico dirigenziale, come dimostrerebbero i documenti e gli attestati prodotti in giudizio.

3.2. Ha quindi dedotto, in subordine da pag. 34 a 42 dell’appello, l’illegittimità del bando laddove interpretato nel senso di escludere dal concorso soggetti che non fossero già dipendenti pubblici.

3.3. Ha inoltre nuovamente contestato, anche con motivi aggiunti, la legittimazione all’impugnazione dell’avv. C., sostenendo che tale concorrente dovesse essere esclusa dalla procedura, sul presupposto che la sua assunzione presso il Comune di Catania, avvenuta tramite procedura di mobilità, fosse da intendersi come nulla e che quindi, neppure lei fosse (da intendersi come), alla data di presentazione della domanda di concorso, un dipendente pubblico.

3.4. Si sono costituiti, resistendo all’appello, lo IACP e l’avv. C., il primo proponendo appello incidentale ed entrambi replicando sulla base di articolate difese.

3.5. Respinta nella camera di consiglio dell’8.11.2012 la domanda cautelare, disposta una duplice istruttoria – per accertare quando fosse stata approvata la graduatoria, per approfondire che tipo di incarico avesse svolto il M. presso l’avvocatura del Comune di Catania nonché quali fossero state le modalità delle precedenti assunzioni della C. – all’udienza del 15.4.2015, in vista delle quali le difese hanno depositato ulteriori memorie, la causa è passata in decisione.

  1. In via del tutto preliminare deve darsi atto del passaggio in giudicato del capo di sentenza con cui l’Assessorato Infrastrutture e Mobilità della Regione Siciliana è stato estromesso dal giudizio dinanzi al Tar, in assenza di una espressa impugnazione sul punto, a conferma dell’estraneità dell’amministrazione regionale.
  2. Deve essere esaminato, con priorità, il motivo dell’appello principale con cui, censurando sul punto la sentenza del Tar che l’ha disattesa, è riproposta l’eccezione di tardività dell’originario ricorso introduttivo di primo grado.

5.1. La difesa appellante assume che l’originaria ricorrente in primo grado abbia avuto effettiva conoscenza della posizione dell’Avv. M. – in tesi, privo dei requisiti per partecipare al concorso in questione (per le ragioni che saranno esaminate infra) – a far data dalla pubblicazione della graduatoria del 12.11.2011, avvenuta il 16.11.2011, o, al più tardi, a seguito dell’istanza di accesso inoltrata al Comune di Catania il successivo 16.1.2012; in ogni caso, ben prima della pubblicazione dell’approvazione della graduatoria finale avvenuta il 19.3.2012. Sicché, il ricorso, da lei notificato l’8.5.2012, sarebbe tardivo e come tale irricevibile.

5.2. Tale assunto, contestato dalle difese delle controparti e, come ricordato, già disatteso dal Giudice di primo grado, non è condivisibile, sia sul piano generale che alla luce della concreta dinamica della vicenda concorsuale qui in esame.

5.3. In termini generali, vale ribadire come il procedimento concorsuale possa ritenersi concluso solamente all’atto dell’approvazione della graduatoria finale, quando si cristallizza l’esito della selezione e diventa definitivo l’effetto lesivo che da esso (eventualmente) deriva. Prima di tale momento, tutti gli atti e i giudizi posti in essere dall’amministrazione, per lo più attraverso una commissione di esame all’uopo nominata, hanno natura endoprocedimentale e non sono immediatamente o autonomamente impugnabili (v., ex multis, Cons. St., V, n. 8075/2006 e VI, n. 4882/2003).

In questa logica – a differenza dell’esclusione che si traduce per chi la subisce in un effetto immediatamente lesivo, cui può essere equiparata l’ipotesi di un giudizio negativo, di non idoneità, all’esito delle prove, scritte od orali (cfr. Cons. St., V, n. 5294/2014) – l’ammissione di un (altro) concorrente non ha invece di per sé efficacia lesiva, considerato che, in esito allo svolgimento delle prove, il medesimo concorrente ben potrebbe classificarsi in una posizione non utile della graduatoria finale.

5.4. Nella concreta vicenda in esame, inoltre, non può neppure ritenersi che la graduatoria formulata dalla commissione all’esito della seduta del 12.11.2011, al termine delle prove orali, ad onta di quanto si legge nel medesimo verbale, fosse (davvero) definitiva, al punto da rendere la successiva approvazione della medesima come un passaggio del tutto formale.

Dagli atti di causa, in particolare dall’istruttoria effettuata, emerge, piuttosto, come all’indomani della ricordata seduta del 12.11.2011 non solo la graduatoria ivi formulata dalla Commissione non fu mai approvata dall’Ente; ma che, anzi, il Direttore generale dello IACP, “rilevato delle problematiche relative alla valutazione dei titoli”, chiese la riconvocazione della medesima Commissione “per una verifica di tutti i titoli presentati dai partecipanti al Concorso” (v. atto del 14.12.2011, prot. n. 15645).

Vi furono, quindi, quattro ulteriori sedute della Commissione e, al termine dei lavori, si procedette ad una modifica dei punteggi complessivi assegnati ai candidati il che, pur non comportando un diverso ordine in graduatoria, si tradusse in una sensibile riduzione della distanza tra il primo ed il secondo concorrente, dagli iniziali (quasi) dieci punto a meno di un punto di differenza.

Tutto questo rivela, per un verso, come la Commissione procedette ad una rinnovata valutazione istruttoria dei titoli (anche per quanto concerne la posizione dell’Avv. M.) e, per altro verso, come l’esito di questo riesame (rectius, supplemento di esame) non fosse preventivabile.

5.5. L’insieme di queste considerazioni conduce quindi a individuare la graduatoria finale in quella del 15.3.2012 e a ritenere che l’atto conclusivo della procedura concorsuale, rilevante ai fini della decorrenza del termine di impugnazione (come peraltro ribadito anche dall’art. 12 del bando), coincidesse con la sua formale approvazione, avvenuta con deliberazione del Commissario straordinario il giorno seguente.

5.6. In conclusione, deve quindi affermarsi la tempestività dell’impugnazione proposta, nei confronti di tale ultimo atto, con ricorso notificato l’8.5.2012 e depositato il 10.5.2012.

  1. Del pari prioritario, e non meno infondato, è poi il secondo motivo di appello con cui è riproposta l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale di primo grado, sul rilievo che non sarebbe stato impugnato l’art. 4.6. lett. m) del bando.

6.1. La tesi di parte appellante è che l’amministrazione, prevedendo a carico dei concorrenti l’obbligo di dichiarare i servizi prestati a favore delle pubbliche amministrazioni, con rapporto di lavoro subordinato o autonomo, avrebbe implicitamente considerato tali servizi come, indistintamente (anche quelli prestati in regime di lavoro autonomo, si intende), idonei requisiti di partecipazione; sicché, la ricorrente principale in primo grado, l’avv. C., avrebbe dovuto impugnare tale previsione, a pena di inammissibilità del suo ricorso.

6.2. La tesi, contestata da controparte e disattesa già dal Tar, non convince.

E’ sufficiente, in questo caso, osservare come la disposizione in esame si riferisse alle modalità di presentazione delle domande, per escludere che su di essa potesse fondarsi una lettura alternativa di quanto previsto, in tema di requisiti di partecipazione, dall’art. 3, co. 5 del medesimo bando, che sarà oggetto di successivo approfondimento (v. Infra).

  1. Superate le questioni preliminari concernenti la ricevibilità e l’ammissibilità del ricorso di primo grado dell’avv. C., debbono esaminarsi i motivi del ricorso incidentale “paralizzante”, proposto dall’avv. M. nel giudizio di primo grado, preordinati all’esclusione di controparte e quindi, per altra via, a precludere l’esame del suo ricorso nel merito.

7.1. Seguendo un ordine logico – cronologico che antepone lungo la sequenza del procedimento concorsuale la fase dell’ammissione a quella del giudizio di idoneità delle prove di esame, il Collegio ritiene di dover esaminare in primo luogo la dibattuta questione relativa all’essere l’avv. C. dipendente di ruolo di una pubblica amministrazione, come tale legittimata a partecipare al concorso in oggetto ai sensi dell’art. 3. 5) del bando.

In forza di tale disposizione si richiedeva, per l’ammissione al concorso, in aggiunta ai requisiti di cittadinanza italiana, iscrizione nelle liste elettorali, possesso della laurea in giurisprudenza, abilitazione all’esercizio della professione forense, che qui non sono mai stati posti in discussione; il requisito specifico di essere dipendente di ruolo nella p.a. – con un’anzianità di servizio variabile (da tre a cinque anni) in ragione (e a seconda) del possesso o meno di specializzazioni o dell’aver superato il corso-concorso – ovvero di essere (già) dirigenti con due anni di anzianità o l’aver ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati per legge in amministrazioni pubbliche o, infine, l’aver maturato esperienze lavorative in posizioni apicali presso enti o organismi internazioni.

Ciò premesso, l’avv. C., nel partecipare al concorso, aveva fatto valere il proprio requisito di dipendente pubblico di ruolo con cinque anni di anzianità, quale dipendente del Comune di Catania a far data dal 2003, essendovi stata assunta con mobilità esterna dal Comune di Trecastagni, alle cui dipendenze aveva lavorato sin dal 1997.

7.2. La difesa dell’avv. M., già con il ricorso incidentale di primo grado, articolando un complesso motivo di esclusione, aveva sostenuto che, poiché la procedura di mobilità esterna non sarebbe avvenuta attraverso forme selettive e trasparenti quali prescritte dall’art. 30 del t.u. 165/2001, l’assunzione da parte del Comune di Catania nel 2003 sarebbe stata nulla e quindi l’avv. C. non sarebbe dipendente di ruolo della p.a., non essendolo validamente (diventata) presso il Comune di Catania e non essendolo più (da tempo) presso il Comune di Trecastagni.

7.3. Tale motivo è stato successivamente integrato, nel corso del presente giudizio, con i motivi aggiunti notificati ai sensi dell’art. 104, co. 3, c.p.a. il 29.10.2014, assumendo che (solo) all’esito dell’istruttoria disposta da questo Consiglio con ordinanza 194/2014, parte appellante avrebbe scoperto nuovi elementi documentali ulteriori a sostegno della nullità dell’assunzione dell’avv. C. alle dipendenze del Comune di Catania, di cui è chiesta una declaratoria ai sensi dell’art. 8 c.p.a., per vizi concernenti sempre la procedura di mobilità.

In sintesi, questi elementi di novità, appresi solo attraverso l’istruttoria disposta nel corso del giudizio di appello, consisterebbero nel fatto che, al momento di presentare domanda di mobilità nel 2003, controparte avrebbe dichiarato di appartenere ad una categoria giuridica differente da quella effettivamente posseduta (D3 anziché D1); il che, secondo l’assunto di parte appellante, sarebbe un’ulteriore causa di nullità, (oltre che per violazione di norme imperative, come già precedentemente dedotto, anche) per illiceità della causa, dell’assunzione alle dipendenze del Comune di Catania.

7.4. La difesa dell’avv. C. ha ampiamente contrododetto sul punto: sia eccependo l’inammissibilità dei motivi aggiunti sotto vari profili; sia sottolineando, nel merito, come la mobilità esterna avviata nel 2003 fosse disciplinata dall’art. 30, co. 1, d.lgs. 165/2001 nella formulazione allora vigente, prima della modifica legislativa del 2009, che non prevedeva ancora la necessità di una procedura selettiva; sia, infine, osservando come all’interno della categoria D (del comparto regioni ed enti locali, secondo il sistema di classificazione professionale del personale disciplinato dal CCNL 31.3.1999) le posizioni D1, D2, D3 etc. avrebbero una valenza esclusivamente economica.

7.5. Così riassunte le contrapposte deduzioni di parte, non senza precisare come l’ultima osservazione sia condivisa anche dalla difesa dello IACP (v. memoria 12.3.2015, pp. 9-11), reputa il Collegio che nell’insieme non si ravvisi un motivo escludente.

Va ribadito, anche in questa sede, come alla procedura di mobilità conclusasi nel 2003 non possa applicarsi la disciplina introdotta solamente nel 2009, che ha imposto, in un’ottica complessiva di maggiore pubblicità, la predeterminazione a monte dei criteri di scelta.

Ciò posto, si può prescindere dall’esaminare l’eccezione di inammissibilità dei motivi aggiunti, data la loro infondatezza, non senza rilevare come si tratti di motivi aggiunti ad un originario ricorso incidentale paralizzante, riproposto con l’appello dall’appellante rimasto soccombente in primo grado.

Infatti, pur ammettendosi che nella domanda di mobilità del 2004 la C. avesse reso una dichiarazione (quantomeno) inesatta sul suo profilo professionale di appartenenza (indicando nel suo curriculum vitae allegato alla domanda D3 anziché D1), non vi sono elementi per far discendere da tale inesattezza, mutuata peraltro dal certificato di servizio rilasciato dal (Sindaco del) Comune di Trecastagni in data 17.2.2003 (dove era indicata la “qualifica” D3, che potrebbe avere tratto in errore la C.) la radicale nullità della sua assunzione, e quindi dell’intero contratto di lavoro.

La rilevanza di una simile inesattezza è indubbia sul piano dell’inquadramento economico della dipendente, che è stato superiore a quanto a lei effettivamente spettante e che parrebbe aver comportato il pagamento di somme in eccedenza a titolo retributivo, il che la espone alle azioni di ripetizione di quanto indebitamente percepito e ad eventuali azioni di danni, ove fosse provata la sua mala fede.

Si tratta peraltro di un profilo civilistico – cui potrebbe legarsi anche un profilo disciplinare, per avere taciuto per tutti questi anni l’essere incorsa in (e l’avere cagionato al Comune di Catania) un simile errore – che non rileva nella presente controversia, al pari delle ben più gravi conseguenze sul piano penale prospettate dalla difesa dell’avv. M. (v. esposto-querela allegato alla produzione documentale del 4.3.2015), per la ragione già chiarita che l’invalidità eventualmente riscontrabile sarebbe comunque parziale, limitata al regime economico applicabile all’interno della medesima categoria giuridica D, non estendendosi all’intero contratto.

Di contro, la rilevanza di tale inesattezza, che risale al momento dell’assunzione da parte del Comune di Catania, ai fini del possesso del requisito di partecipazione al concorso qui in contestazione, è revocabile in dubbio.

Premesso che non è neppure dimostrato (ma solo dato per presupposto) che nella procedura di mobilità il Comune di Catania avesse allora richiesto espressamente il possesso della categoria D 3, la contestata violazione dell’art. 30, co. 1, t.u. 165/2001 (questione devoluta peraltro alla giurisdizione ordinaria, trattandosi di una cessione di contratto, sicché qui se ne discute solo incidentalmente) postulerebbe che, in questo caso, la formula legislativa “appartenente alla stessa qualifica” fosse da intendere come riferita di necessità all’appartenenza al profilo specifico D 3. Sul presupposto, ulteriore, che possa sopravvivere ancora, anche ai fini giuridici (della rilevanza economica della distinzione, si è già detto), una distinzione tra la categoria D1 e la D3 all’interno del comparto enti locali legata alla differenziazione tra le ex VII ed VIII qualifiche del sistema previgente, il che è piuttosto discusso (nel senso della differenziazione, in ragione della diversa professionalità, v. Cass. lav., n. 6295/2011; nel senso che la categoria D3 sarebbe invece priva di autonomia giuridica v. Tar Puglia, Bari, n. 2116/2004.

In ogni caso, anche ammettendo per ipotesi (e comunque, davanti a questo Giudice, solo incidenter tantum), l’annullabilità della mobilità (rectius, della cessione dell’originario contratto, per un vizio della volontà: errore e/o dolo), ciò dovrebbe (o avrebbe dovuto) comportare la permanenza, ovvero il ripristino, del rapporto di lavoro con la parte cedente, quindi con l’ente di provenienza, il Comune di Trecastagni.

Ne consegue, per quanto più rileva ai nostri fini, che nessuna soluzione di continuità (poteva e) può logicamente ravvisarsi nella posizione rivestita dalla C. quale dipendente pubblico di ruolo della p.a., con un’anzianità tale da consentirle di partecipare al concorso indetto dallo IACP.

  1. Quanto agli altri motivi escludenti, dedotti in primo grado e qui riproposti, la difesa dell’avv. M. sostiene (appello, pp. 44-47) che l’avv. C. non dovesse essere giudicata idonea all’esito delle prove scritte, in ragione degli errori grammaticali che avrebbe commesso in tali prove e che ne rivelerebbero, in radice, la mancata conoscenza della lingua italiana e, in ogni caso, avrebbero dovuto indurre la Commissione a fare applicazione dell’art. 10 del bando che prevedeva un punteggio minimo di 21/30.

8.1. Il motivo, con cui più nel dettaglio sono indicati quattro errori, per lo più nell’uso della punteggiatura, declinato in chiave escludente è infondato, reputando il Collegio che gli errori in questione non rispondano ad un canone di assoluta gravità, sul presupposto che l’utilizzo, in un solo caso, di “ha” (voce del verbo avere) al posto di “a” (intesa come preposizione) fosse semplicemente il frutto di un lapsus calami.

8.2. Dopodiché, riproponendo il secondo motivo dell’originario ricorso incidentale, con riferimento al contenuto delle prove scritte dell’avv. C., è dedotta la contraddittorietà tra il voto numerico (assegnatole) e il giudizio espresso dalla Commissione. In particolare si assume che la concorrente non avrebbe potuto conseguire neppure il voto minimo richiesto di 21/30, alla luce di quanto verbalizzato dalla Commissione in merito alla seconda prova scritta, dove si legge che (la candidata) “non sviluppa la distinzione tra le categorie di vincoli”.

8.3. Reputa il Collegio che simile censura, (se ed in quanto) anche in questo caso declinata in chiave rigidamente escludente, sia infondata, non essendo all’apparenza manifestamente illogico, né contraddittorio, far discendere dal mancato sviluppo (che implica comunque una trattazione, per quanto non elaborata) di un argomento un voto numerico pur sempre più vicino al minimo che al massimo.

  1. Respinto, anche in appello, il ricorso incidentale dell’avv. M., si passa ora ad esaminare il capo di sentenza con cui è stato accolto il ricorso principale dell’avv. C., sul presupposto che il candidato risultato primo in graduatoria non avesse i requisiti per l’ammissione al concorso.

9.1. Come già ricordato, il Tar ha ritenuto che gli incarichi conferiti dal Comune di Catania all’avv. M., negli anni dal 1999 al 2007, non potessero considerarsi come incarichi dirigenziali presso pubbliche amministrazioni, o ad essi equiparati per legge, non essendo quindi riconducibili alla situazione legittimante, invocata dal M., di cui alla lett. e) dell’art. 3, co. 5, del bando di concorso.

9.2. A fronte di questa statuizione del Giudice di primo grado, che ha qualificato detti incarichi come di natura professionale non costituenti un rapporto di lavoro subordinato, l’appellante argomenta e sviluppa due linee di difesa, distinte ma strettamente correlate. Da un lato, riqualifica il proprio rapporto di lavoro con il Comune di Catania come di tipo parasubordinato, deducendo in tal senso tutta una serie di elementi di fatto, e rappresentando che nell’esecuzione di detto rapporto l’avv. M. ebbe assegnato del personale impiegatizio; dall’altro, invoca un’interpretazione estensiva del bando in ordine ai requisiti di ammissione, nel senso di consentire anche ai non dipendenti pubblici di ruolo, ove avvocati con una rilevante anzianità di servizio, l’accesso al concorso per dirigente dell’area legale.

9.3. Quanto al primo aspetto –il motivo è condiviso anche dalla difesa dello IACP che sul punto ha proposto appello incidentale, anche se in termini non coincidenti – concernente la natura degli incarichi conferiti all’avv. M. dal Comune di Catania, sulla scorta della copiosa produzione documentale di parte e dell’istruttoria disposta d’ufficio da questo Consiglio, è possibile affermare che l’attività del M. si sia tradotta in una prestazione di lavoro – complessivamente intesa – personale, continuativa e coordinata. Vale richiamare, in questa direzione, il numero e la varietà delle cause assegnategli, la disponibilità di una stanza e di dotazioni informatiche, la partecipazione alle riunioni dell’avvocatura comunale. Ma questo non contraddice la natura pur sempre di lavoro autonomo del rapporto intercorso con il Comune ed il suo carattere non esclusivo, che è anzi confermata dal fatto, accertato sempre attraverso l’istruttoria, che in quegli anni l’avv. M. non fu mai iscritto né all’albo speciale degli avvocati (degli enti pubblici), né alla gestione (neppure separata) dell’Inps, continuando a patrocinare anche in favore di altri soggetti .

Quanto al secondo aspetto, in assenza di un provvedimento di formale conferimento di un incarico dirigenziale all’avv. M., gli elementi di fatto sopra richiamati, comprovanti il ripetersi di incarichi a contratto ad alto contenuto di professionalità non possono fondare, in via semplicemente interpretativa ed in chiave del tutto soggettiva, un giudizio di equiparazione ex post (v., in questo senso, Cass. sez. lav., n. 689/2014)

9.4. Ciò posto, anche a fronte della comprovata e riconosciuta esperienza professionale del M., deve esaminarsi il motivo dell’appello, proposto in via subordinata (cfr. a p. 33), già a suo tempo formulato con il ricorso incidentale in primo grado, con cui, per l’ipotesi in cui non ne fosse possibile un’interpretazione estensiva-adeguatrice – che anche questo Collegio non reputa possibile – si contestano le clausole del bando che impedivano di partecipare a chi fosse avvocato del libero foro, quantunque con un’esperienza specifica.

Ritiene il Collegio che la censura debba essere esaminata avendo riguardo alla tipologia del concorso in contestazione, formalmente trattandosi di un concorso per dirigente (amministrativo) di area legale, e non per dirigente-avvocato.

La circostanza, documentata in atti, che esistesse ed esista un’avvocatura dell’ente (v. regolamento del 2003, dove si stabilisce che gli avvocati sono iscritti all’albo speciale, il che è confermato dal fatto storico che il M., in esecuzione della nomina poi annullata con la sentenza del Tar, sia stato iscritto all’albo speciale proprio in veste di dirigente-avvocato dello IACP), attualmente (sembrerebbe) coincidente con l’area legale e dove il vincitore venne effettivamente destinato, non contraddice quanto appena rilevato, trattandosi di una soluzione organizzativa contingente, revocabile in qualunque momento.

Una volta ribadito come si sia trattato di un concorso per dirigente amministrativo, deve ritenersi ragionevole e immune dalle censure dedotte, oltre che coerente con la disciplina dell’art. 28 del t.u. 165/2001 applicabile ratione temporis, la scelta dell’amministrazione di ammettere candidati che già fossero alle dipendenze di una pubblica amministrazione, come dirigenti o funzionari con una minima anzianità di servizio, ovvero che avessero svolto incarichi dirigenziali o equiparati, per tali dovendosi intendere incarichi conferiti sulla base di contratti di lavoro subordinato.

Le censure dedotte nei confronti del bando, assumendo erroneamente la natura “riservata” del concorso con esso indetto e gli effetti discriminatori prodotti in danno degli “esterni”, non si addicono, quindi, alla procedura in esame, come anche i richiami al diritto costituzionale e a quello dell’Unione Europea che, per le stesse ragioni, non sono pertinenti e per questo dispensano il Collegio dal rinvio pregiudiziale sollecitato dalla difesa appellante ai sensi dell’art. 267 del Trattato.

  1. In conclusione, sono infondati e vanno respinti sia l’appello principale che quello incidentale, conseguendone l’integrale conferma della sentenza di primo grado.
  2. La peculiarità della vicenda, resa più complicata da talune ambiguità del bando e dalle perfettibili dichiarazioni rese a suo tempo dall’avv. C., induce il Collegio a compensare le spese del giudizio di appello tra tutte le parti costituite.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale,

definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale, li respinge entrambi, confermando per l’effetto la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari,  Presidente

Hadrian Simonetti,     Consigliere, Estensore

Silvia La Guardia,      Consigliere

Giuseppe Mineo,        Consigliere

Alessandro Corbino,  Consigliere

 

 L’ESTENSORE                     IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)